sabato 28 aprile 2007

Centochiodi


Centochiodi è l’ultimo film di Ermanno Olmi non solo nell’ordine diuscita, ma anche nei propositi del suo autore: stando alle sue stesse dichiarazioni, dopo tornerà al suo genere di partenza: il documentario.

Il famoso regista ha deciso che la sua uscita di scena dal genere non dovesse essere in tono minore, per questo ha proposto al pubblico un film radicale nelle tesi filosofiche ed etiche di cui si fa esplicitamente portatore. La scansione del film è tripartita tanto nel pensiero esposto quanto nell’azione che lo rispecchia: parte critica del pensiero e distruzione della precedente vita del protagonista, parte costruttiva del pensiero e costruzione di una nuova vita, infine dichiarazione aperta del pensiero, finora solo implicito nell’azione, e sacrificio del suo portatore.

Questa suddivisione può essere riferita anche al caso di cui si occupano gli inquirenti nel film: delitto, latitanza, arresto. I caratteri del giallo, però, sono presenti solo all’inizio, anziché essere spalmati su tutto il film: lo spettatore sa praticamente subito chi è l’autore del delitto e le indagini non sono affatto rappresentate, in quanto la telecamera non perde di vista quasi mai il protagonista.

Il ritmo narrativo è molto veloce e appassionante all’inizio, in corrispondenza della parodia del genere del giallo, mentre rallenta fortemente nel resto del film, dove l’azione cede sempre più il passo al pensiero. Invece è abbastanza diffusa una ricerca estetica che dà unità al lungometraggio, anche se il culmine è raggiunto subito all’inizio.

Il messaggio è che il sapere non è servito all’umanità perché si astenesse dal commettere atrocità di pari passo con la sua crescita; per questo è inutile dedicare la propria vita allo studio, il quale finisce per costituire solo un’illusione nelle sorti progressive dell’umanità.

Questa è la parte critica del pensiero espresso nelfilm, ma Olmi si preoccupa di non fraintenderla per una negazione totale dell’utilità della lettura, la quale è giusta nella misura incui insegna qualcosa senza essere a scapito della vita pratica, che hapiù da insegnare.

La parte costruttiva è che per essere felici non serve arrovellarsi su sofismi intellettuali né costruirsi una vita comoda e dispendiosa, ma basta l’affetto e la generosità spontanea delle persone che abbiamo vicine. In questo senso è più facile essere felici tra persone povere e semplici che non tra intellettuali di città.

Ancor più delle tesi esposte, quello che può lasciare interdetti è laforma in cui sono espresse. Fatto salvo l’inizio, il resto del film èsempre più teatralmente evangelico.

L’intellettuale protagonista comincia con l’essere assimilato a Cristo per le sue sembianze e con l’essere invitato al racconto di aneddoti biblici da parte dei provinciali presso cui si nasconde; poi diviene la guida spirituale di una dozzina di fedeli predicando la fraternità e la semplicità, per salvare i quali si sacrificherà testimoniando fino alla fine il suo messaggio.

È innegabile anche la somiglianza del personaggio femminile di spicco con Maria Maddalena, castamente innamorata del protagonista che l’ha redenta dallo spiacevole destino di esistere solo per il piacere degli uomini.

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