martedì 31 luglio 2007

Incontro con Turi

Incontro Turi a Bari dopo la sua esibizione a Trl, per la promozione del nuovo disco, “Colpa delle donne”. E' stata una giornata dura, sono le 23, è stanchissimo e domani deve prendere un aereo alle 6, ma il rapper calabrese è estremamente disponibile, e in breve l'intervista diventa una divertente chiacchierata.

Nella tua carriera hai pubblicato un disco autoprodotto e due su indie. Ora hai fatto il “grande salto” alla major. La grande casa discografica ti ha imposto dei limiti?

Vedi, quando prendono un artista giovane, è probabile che venga manipolato. Ma quando si tratta di persone che hanno più esperienza, come me, le major ti prendono perché hai uno zoccolo duro di persone che ti seguono, e non si sono mai permessi di dirmi cosa fare e cosa non fare.

E quali sono invece i vantaggi che hai trovato su major?

Il primo è che ti danno il cosidetto recording budget, con cui devi portare il CD finito. Poi c'è il vantaggio che se usi un sample la major si prende la responsabilità, lo dichiara e lo paga, mentre nella indie ti fanno firmare un foglio che dice che se hai campionato James Brown, e James Brown viene a cercarti, sono cazzi tuoi!

Parliamo del disco...

Questo disco lo stavo scrivendo già dall'anno scorso, poi s'è inserita la Universal. Io ho messo in chiaro che non volevo fare cose come i miei dischi vecchi, volevo fare un concept hip-hop che parla di donne, come non ha fatto mai nessuno in Italia. C'è chi avrebbe preferito il vecchio Turi, ma che palle! Uno deve fare le stesse cose per tutta la vita? E poi perché non posso parlare di donne? Perché devo chiamare il mio disco... Che ne so... “Asfalto rovente” o 'ste cagate qua?

Il singolo “La tua donna” inizia con una voce femminile che dice “Turi, sei un maschilista!” Ha ragione?

Come dice uno dei miei idoli, Luttazzi: “Questo spettacolo è fatto per turbare gli imbecilli. Agli altri, buon divertimento”. Il mio disco turberà le donne imbecilli, le altre si divertiranno. E' un discorso ironico...

Quanto alla musica?

Ho cercato di fare una cosa libera, mettendoci le mie fisse degli ultimi anni. Mi sono messo a studiare gli anni '80: c'è tanta bella musica, anche se molti dicono che era un periodaccio. Ho messo un sacco di sonorità “eighties”, e grazie al recording budget ho potuto registrare in uno studio con strumenti analogici e synth di quel periodo. Comunque io in questo periodo ascolto di tutto, anche “Like a virgin” di Madonna, pensa come sono messo! E il filo conduttore musicale è proprio un trip anni '80... Anche nella spigliatezza dei testi: I'm proud to be terra-terra!

Emanuele Flandoli

sabato 28 luglio 2007

Il Lastroisk



Altro esponente delle cosiddette “Razze Primordiali” sul quaderno do Monsters che, ricordo, fa parte di un mio sogno-progetto che avevo iniziato intorno ai dodici anni, di fare una sorta di enciclopedia illustrata di mostri e creature fantastiche, aggiungendo agli esseri già conosciuti altri di mia invenzione, il Lastroisk era un drago con delle peculiarità mistiche.

Avevo infatti voluto mettere nella mia esposizione illustrativa quello che poteva essere il progenitore dei grandi draghi spirituali d’Oriente, che come è risaputo sono raffigurati dalla tradizione in modo differente da quelli occidentali.

Inizialmente raffigurato con quattro zampe poco sviluppate, nel seguente rifacimento lo illustrai con sole due zampe anteriori e con un paio di ali ramificate su di queste, proprio come quelle dei draghi orientali.


Ecco il primo bozzetto di questo drago e i particolari in più, che in seguito ho poi tolto. Aggiungendo le ali ramificate non volevo intendere che volasse, anche perché nella mia idea iniziale, il Lastroisk, dotato di grandi poteri mentali aveva la facoltà di levitare senza ausilio di ali.


Storia riadattata del Lastroisk dal quaderno di Monsters

“Nonostante il suo aspetto atipico, questo drago era in possesso di enormi poteri psichici e spirituali, inimmaginabili da una mente semplicemente umana. La sua potenza mentale era al centro della sua magnificenza. Si pensava potesse viaggiare attraverso il tempo e lo spazio a suo piacimento, nonostante non si avessero prove di ciò, ed essendo solamente accertato che levitasse invece di volare.
Tuttavia preferiva camminare sulla terraferma, utilizzando le sue immense facoltà per la caccia e per la difesa del territorio, che di solito era situato vicino le cascate o i corsi d’acqua impetuosi.
Da esso discesero le razze dei draghi spirituali d’Oriente , signori degli elementi e spiriti terribili e vendicativi che incarnavano le forze della natura nella loro essenza semidivina.
Il Lastroisk non smise di esistere a causa della caccia da parte di altre creature o da parte dell’uomo, grazie alla sua mente infatti non poteva essere ucciso da nessuno, tranne che da altri della stessa specie.
La sua estinzione fu semplicemente dovuta alla fine del suo tempo, e questo perché, essendo una creatura profondamente legata alla terra, ne seguì parte del ciclo vitale per poi spegnersi assieme ad esso.”

Per quanto riguarda la realizzazione tecnica del disegno non c’è tanto da dire, a parte il fatto che ho usato l’effetto del Frosted Glass sul particolare della cascata , per dare l’idea dell’acqua spumeggiante.

La linea ispiratrice che mi ha guidato nel tracciare questo drago la si ritrova nelle illustrazioni di stampo cinese, raffiguranti i draghi Orientali, che nella tradizione cinese hanno una origine e un modo di esistere completamente diversi da quelli dei draghi d’Occidente.


Daniele Tartaglia.

venerdì 27 luglio 2007

Turi

Colpa delle donne ****

Universal

Il discorso parte dall'analisi dei suoi rapporti col gentilsesso, ma Turi ci tiene a precisare che in realtà è la sua vita, in generale, ad essere protagonista delle sue rime.

Strofe impregnate di un'ironia indolente, quella colla palpebra abbassata e le palle piene di tutte le assurdità che sentiamo ogni giorno e che alla fine accettiamo come verità.

Che si tratti della studentessa pseudo-alternativa uguale ad altre mille o del politicante che da mezzo secolo passa di partito in partito mantenendo la sua poltrona, il rapper calabrese smaschera personaggi di cui tutti conosciamo la falsita ma che nessuno ha la voglia di ribaltare.

E lo fa con una classe senza pari nella scena nostrana, con soluzioni metriche eleganti, una vocalità meno aggressiva è più "cool" che in passato, e quell'irresistibile funk che è ormai il suo marchio di fabbrica.

Fra grooves elecro-funk e sonorità più classiche, la costante è un'inarrestabile vibrazione funky, che coinvolge i piedi dell'ascoltatore tanto quanto i testi coinvolgono la testa.

Emanuele Flandoli

martedì 24 luglio 2007

Parliamo del male, della tecnologia e del volto umano

Consigli di un giovane ai giovani sulla perdita del senso
(seconda parte)

Cosa si intende per scienza oggi? Quale rapporto crediamo che abbia la tecnologia, la pratica, l’esperienza e il progresso dei mezzi di produzione con lo sviluppo dell’umanità? Queste domande rappresentano il fulcro della perdita di senso della storia e dell’uso della ragione da parte dei giovani studiosi come di gran parte della storiografia del secolo scorso. Un giovane, che si trova di fronte a degli interrogativi ha bisogno di un minimo di certezza o almeno di chiarezza su alcuni fatti che rendono il nostro orientamento più saldo.

Partiamo allora dalla definizione di scienza e del suo contrasto con la definizione di religione. Quando ci rivolgiamo alle grandi rivoluzione del pensiero, come la rivoluzione scientifica del XVI secolo, non possiamo nasconderci l’inesistenza del pensiero laico nei grandi protagonisti che l’hanno percorsa. Ciò cui Copernico contribuì non fu una rivoluzione ma una evoluzione, il culmine di un progresso iniziato secoli prima, in quell’età buia e priva di senso dove gli scolastici e l’invenzione cristiana dell’università (XII secolo) furono i veri protagonisti. La scienza non era solo compatibile con la religione, ma nacque in quanto serva della teologia e in essa ha fatto i suoi progressi grazie ad un profondo spirito religioso che pervade il concetto stesso di storia delle scienze.

Uno degli autori dei Principia Matematica, Alfred North Whitehead, dichiarò in una delle sue Lectures ad Harvard, che la scienza ebbe origine in Europa a causa della diffusa fede nelle sue possibilità e che essa rappresenta un “derivato della teologia medievale”. Da un matematico e filosofo del suo calibro come potevano uscire delle asserzioni così distanti dalla comune opposizione tra religione e scienza. In particolare Whitehead aveva capito che la teologia cristiana, a differenza delle altre teologie e della stessa religione greco-romana, erano incompatibili con il progresso e soffocavano la ricerca scientifica. Ecco le sue parole:

“Il grande contributo dato dal Medioevo alla formazione del movimento scientifico fu la fede inespugnabile che v’è un segreto, e questo segreto può essere svelato. Come si è insediata così saldamente nello spirito europeo questa convinzione? Non può provenire che dalla concezione medievale, che insisteva sulla razionalità di Dio, al quale veniva attribuita l’energia personale di Yahwèh e la razionalità di un filosofo greco. Ogni particolare era controllato e ordinato: le ricerche sulla natura non potevano sfociare che nella giustificazione della fede nella razionalità” La scienza e il mondo moderno.

Per capire questa tesi dobbiamo ritornare al concetto di scienza, poiché con questa parola non si intende solo “tecnologia”. L’evoluzione scientifica non è direttamente proporzionale alla maggiore abilità nel costruire strumenti tecnici. La scienza è in primis un metodo, un modo di pensare ed organizzare i dati in vista di una spiegazione, in tentativi soggetti certamente a modifiche e correzioni tramite l’osservazione. Quindi si può in linea di massima dividere in due parti la scienza, una parte teorica e una parte pratica, una parte destinata alla formulazione di una teoria e l’altra alla sua applicazione per verificarla. La prima parte è esplicativa, ossia tramite enunciati astratti sul come ed il perché la natura funzioni in un certo modo. Ma per aspirare ad essere scientifici tali enunciati debbono potersi dedurre da precise previsioni nell’osservazione. Qui allora arriva la ricerca, il cimento, l’esperimento.

Come scrisse lo storico Marc Bloch, la maggior parte degli sforzi fatti per spiegare e controllare il mondo materiale , ossia gli sforzi tecnici, fino a tempi recenti, non può assurgere al rango di scienza poiché la tecnica, nei suoi progressi, è puro empirismo. In pratica le prime grandi innovazioni tecniche in epoca greco-romana, nel mondo islamico, in Cina e nelle epoche preistoriche, rappresentano soltanto sapienza, saggezza, arti, mestieri, ingegneria o semplice conoscenza. Chi meglio di un ultimamente mal interpretato Charles Darwin poteva spiegarci questo punto con maggior chiarezza:
“Circa trent’anni fa molti dicevano che i geologi dovessero osservare e non formulare teorie; e ricordo bene che qualcuno disse che in tal modo un uomo poteva anche recarsi in una cava di ghiaia, contare i sassi e descriverne i colori. Che strano che non si capisca che tutte le osservazioni devono essere a favore o contrarie ad alcuni punti di vista se si vuole che siano utili”.More Letters of Charles Darwin.

La vera scienza si sviluppò solo in Europa, poiché solo qui l’alchimia divenne chimica e l’astrologia astronomia, e la risposta ci riporta sempre a Dio. Nicola D’Oresme, teologo e scienziato del medioevo diceva che la creazione di Dio “è più simile a quella di un uomo che costruisca un orologio e gli permetta di funzionare e continuare il suo movimento automaticamente”. Il Dio delle altre religioni monoteiste e in particolare delle religioni dell’Asia, è impersonale, imperscrutabile, irrazionale, scoraggiante per la scienza. Le religioni non cristiane infatti non presuppongono affatto una creazione, e questo rappresenta un dramma: in questa prospettiva l’universo è eterno, certamente ciclico ma increato, senza un creatore, e la conseguenza più lampante è che diviene misterioso insieme alla sua materia, incoerente ed imprevedibile nei suoi effetti. Un tale presupposto incoraggia una forma di conoscenza che si affianca a percorsi di meditazione e di intuizioni mistiche: senza in pratica poter mai sollecitare l’uso della ragione, senza mai porsi il problema di un metodo.

Contrariamente a queste presupposizioni i cristiani svilupparono la scienza perché credevano che si potesse e si dovesse fare. Non la religione in generale, non lo spiritualismo, non la divinità, ma solo “un” Dio, quello che si è fatto carne in Gesù Cristo poteva ispirare il tentativo di comprendere la sua opera, offerta a noi come figli, aperta a noi come fedeli lettori del libro della creazione: in questo modo la conoscenza diventa vicina all’idea di scienza come spiegazione di fenomeni, e soltanto adesso capiamo appieno il significato dell’esser “serva” della teologia. Newton, Galilei, Keplero, scrissero la rivoluzione scientifica interpretando il libro della creazione, poiché esso poteva essere compreso. Ciò sarebbe stato impossibile in Cina, paese così naturalmente propenso all’evoluzione scientifica che suscitò una illuminante riflessione a quel secondo autore dei Principia Matematica, l’ateo combattente Bertrand Russel: “Nonostante sino a oggi la civiltà cinese sia stata insufficiente nella scienza, non ha mai nutrito sentimenti di ostilità verso di essa, quindi il diffondersi del sapere scientifico non dovrebbe incontrare ostacoli pari a quelli posti dalla Chiesa in Europa”.

Russel, sebbene certo del sorpasso dell’Occidente sulla Cina, non sa spiegarselo perché non capiva che il problema era proprio la venerazione del Tao, dell’essenza governatrice della vita, distante ed impersonale, non simile a nessuna delle sue creazioni: una tale divinità è di poca importanza, inutile, etsi Dues non daretur, ed invano si potrebbe parlare di creazione, né dell’universo né per le essenze che lo regolano, poichè sembrano essere inermi in un nulla che è il cosmo. Come concludeva lo storico della scienza Joseph Needham, dopo innumerevoli studi sulla tecnologia cinese, l’astio degli intellettuali orientali nei confronti della scienza in senso moderno era dovuto al fatto che “non si era mai sviluppata la concezione di un legislatore celestiale e divino che impone leggi sulla Natura non umana”.

Mi sono servito della metafora del Secolo Buio perché è questo Secolo che rappresenta il vero illuminismo, che ha permesso la nascita della scienza e del pensiero politico in senso moderno, cosa che ha fatto in primis progredire l’Occidente rispetto alle altre popolazione del mondo. Ma tutto questo ha un prezzo. Ammettere la vittoria della ragione in Occidente significa ammettere che il più grande e fecondo evento della storia europea è stata l’ascesa del cristianesimo. La Chiesa, secondo il principio del “potremo un giorno” diede costante testimonianza della fiducia nel progresso, e non si trattò invece di una mano pesante ed opprimente che ritardò nell’ignoranza il nostro continente. L’espressione Secolo Buio è un falso, tanto quanto quello della Donazione di Costantino scoperta da Lorenzo Valla. Ma la cosa più indecorosa è che da quella filologia rinascimentale nacque la cultura che fece sprofondare negli abissi dell’incomprensione l’epoca più feconda di sviluppi di tutta la storia.

Il progresso intellettuale e materiale dell’Europa si sviluppò rapidamente non appena gli europei sfuggirono alla morsa invalidante della repressione romana e del frainteso idealismo greco: e questo fu possibile perché il cristianesimo insegnava che il progresso era normale e che nuove invenzioni sarebbero sempre state prossime. Questa fu la vera rivoluzione, questa era la vera fiducia ed il vero senso del progresso.

Le tesi e le fonti del presente articolo sono state rielaborate dal libro “La vittoria della Ragione” del sociologo americano Rodney Stark.

Davide De Caprio

venerdì 20 luglio 2007

“Art is Bang”, il credo di Taro Okamoto.















Due foto di questo artista giapponese

Per quanto alcuni lavori artistici scintillino di luce propria per genialità o bizzarria che si voglia , sono ben pochi quelli che rappresentano sino all’estrema potenzialità l’indole dell’artista creatore degli stessi.

Inoltre, il concetto di scintillio è applicabile alle opere artistiche anche in maniera diversa, secondo quanto espresso dal pensiero di Taro Okamoto, ovvero quello di esplosione, intesa come rottura definitiva con l’armonizzazione all’ambiente circostante e con i canoni artistici di qualunque frangente storico.

Questo geniale artista, nato in Giappone 26 Febbraio 1911, era un fiero esponente dell’arte astratta , sia scultorea che pittorica.

Studiò a Parigi alla Panthèon-Sorbonne nel 1930 e solo dopo la II Guerra Mondiale cominciò a produrre i suoi interessantissimi lavori, attività in cui si cimentò fino alla morte, il 7 Gennaio 1996 , quando oramai era diventato un’artista di grande influenza per la società giapponese.

Cultore del mistero e del mondo dell’occulto nella città di Parigi, nella quale permase per molto tempo, si laureò in Etnologia presso il professor Marcel Mauss, focalizzando la propria ricerca sui riti tribali delle popolazioni indigene dell’Oceania, partecipando in persona, in qualità di membro, ai rituali della società spiritica denominata “Acephale”.

Questa personaggio eccentrico inoltre ha pubblicato un libro ha intitolato “Shinpi Nihon” (misteri del Giappone) omaggiando con quest’opera l’esoterismo della sua terra natale, i misteri della quale hanno fatto scaturire l’interesse per il mistero nel giovane Okamoto allorquando osservava i manufatti di Jomon nel museo cittadino di Tokyo.






Taro Okamoto- La torretta del Sole

La torretta del Sole, uno dei suoi lavori più famosi è divenuto il simbolo dell’ Expò ’70, avvenuta ad Osaka nel 1970, e mostra il passato (parte più inferiore), il presente (parte centrale) ed il futuro (la faccia) della razza umana. Ancora si leva in piedi nel centro del parco del memoriale del Expo.

Le opere di quest’artista sono, come facilmente si nota, incentrate su di una forte connotazione simbolica tipica dell’astrattismo e del surrealismo, non a caso il suo contatto parigino era Del l’Andre una delle punte di diamante del Surrealismo Francese.



Taro Okamoto- Tree of Children


Daniele Tartaglia

sabato 14 luglio 2007

Club Dogo Vile Denaro ***


Vile Denaro era stato preceduto da mesi di attesa frenetica, preannunciato come un capolavoro che avrebbe dato una svolta all'hip-hop tricolore.

Come era prevedibile, attese così ambiziose non potevano che essere smentite dalla prova dei fatti. Ciò che manca ai Dogo è la varietà, soprattutto d'argomenti, tanto che V.D. sembra un disco monotematico: soldi (come annunciato dal titolo), una società marcia e tanta, tanta cocaina.

E l'atteggiamento di chi parla è ambiguo: se da una parte l'arrivismo e la centralità del denaro nella società sono ampiamente stigmatizzati, d'altro canto i valori del Club Dogo non sembrano poi tanto diversi: ci si vanta di guadagnare senza lavorare, di rappare per il "cash", di badare solo a sé stessi ed alla propria carriera.
In altre parole, un improbabile tentativo di far convivere la vecchia attitudine "sociale" del rap italiano con la nuova estetica "gangsta" che ormai ha preso piede anche fra i nostri MC.

Ciò detto, non si pensi che Vile Denaro sia un brutto disco, tutt'altro: le produzioni non hanno niente da invidiare a quelle più famose d'Oltreoceano, e lindiscutibile perizia vocale, metrica, e retorica del Club fa sfoggio di sé in ottimi pezzi: la critica sociale di Incubo italiano (peccato che sia poi ripetuta senza grandi variazioni in diversi altri testi) e Spaghetti western, il battle rap di prim'ordine di M-I Bastard e l'originalissima Confessioni di una banconota, che racconta tutto lo schifo che gira intorno al denaro dal punto di vista del denaro stesso.

venerdì 13 luglio 2007

Dove la natura muore, i sentimenti vivono.


Canestra di frutta del Caravaggio, una splendida natura morta


Natura morta: a prima vista sembrerebbe un annuncio come quelli che nobili associazioni come il WWF o Greenpeace di tanto in tanto promanano,per denunciare l'incontrollato progresso umano a discapito dell'ambiente che ci circonda.

Dal punto di vista artistico invece la natura morta non è altro che una linea ispiratrice per il pittore che si accinge a posare il proprio pennello sulla tela, ma come semplice linea ispiratrice può essere solo di passaggio nella carriera dell'artista oppure costituire una vera e propria devozione nell'arte dello stesso.

Abbiamo infatti, nella storia dell'arte passata e moderna esempi di artisti che, specializzati in un dato campo come quello del ritrattismo, dedicano una o più loro opere alla rappresentazione di soggetti inanimati, dove la presenza umana si rivela ingombrante e il dinamismo si cristallizza nell'immota policromia del quadro così realizzato.

Tale linea ispiratice infatti consiste nella rappresentazione di soggetti pittorici inanimati, quali ad esempio vasi di fiori o di frutta, composizioni bizzarre di vari oggetti o la semplice rappresentazioni degli stessi in sic et simpliciter, mere rappresentazioni da parte dell'artista di un unjverso immobile.

La tendenza a chiamarle nature morte nasce proprio dal fatto che ad essere rappresentati non sono soggetti portatori dell'ideale di vita intrinseco nella loro natura, ma soggetti che di vivo hanno poco se non nulla.

Qualcuno giustamente ha obiettato dicendo che, per esempio, il vaso di fiori potrebbe esprimere benissimo il concetto di vita, stante la tesi che i fiori sono organismi viventi i cui colori celano in sè tale concetto, ma è qui che entra in gioco il fattore dinamismo.

Il dinamismo e la dinamicità sono del tutto assenti nelle tele rappresentate, dando al quadro l'effetto di un tempo morto, fermo ed immobile nel minimo spazio in cui il soggetto rappresentato la fa da padrone, a ciò si aggiungano i colori terrosi e cupi che spesso caricano l'atmosfera anzidetta di totale cristallizzazione temporale.

Dal mio, come dal punto di vista di molti tuttavia queste tele, tali rappresentazioni sono portatrici di emozioni, sconvolgimenti sentimentali che anche un animo non romantico è capace di afferrare.

In esse infatti e scritto a lettere di fuoco quello che da sempre l'uomo sogna, da essere vivevnte effimero qual'è:l'immortalità.

Sembra un paradosso ma, a mio avviso, la natura morta come rappresentazione è immortale e questo non si spiega con l'assenza o meno dell presenza umana, ma con il semplice fatto che l'idea di immobilità perpetua a cui portano a pensare si protrae per un tempo sì cristallizzato ma eterno, immortale in quanto immoto, in quanto non vivo .

Sul perchè gli artisti si concedano alla o si concentrino sulla natura morta, non vi sono state mai ipotesi particolari, vedendo vista nella carriera dell'artista quando non nella fase iniziale, spesso al termine della stessa, ed il motivo, secondo me, sta proprio nel fatto che è un tipo di rappresentazione semplice e d'impatto, che non richiede grandi dote pittoriche ma alla quale ci si può dedicare con pazienza e dovizia, un'attività per coltivare le proprie doti rilassandosi nel contempo.


Daniele Tartaglia

giovedì 12 luglio 2007

Parliamo del male, della tecnologia e del volto umano

Consigli di un giovane ai giovani sulla perdita del senso (introduzione alla seconda parte)

Le discussioni avanzate sulla questione del sacro nella scienza e nella conoscenza non sembrano essere molto feconde quando si voglia fare della nostra vita (e della sua progressione nella storia) un ammasso di tensione verso un apprendimento indeterminato: l’idea di una certa gerarchia tra livelli non può essere ammessa se tutto il nostro elucubrare è in sostanza un agglomerato di materia in movimento in continua evoluzione adattativa.

Rispetto a ciò voglio mostrarvi, continuando sulla scia della perdita di senso, che uno dei mali maggiori sia rinunciare alla gerarchia nella vita e con essa della storia. Un tale paradigma infatti è totalmente opposto a quello che fa della conoscenza un concetto scambiabile con quello di evoluzione biologica, ossia di quel processo che ingloba ogni forma vivente, da organismi monocellulari all’essere umano, e per cui ogni passo verso una soluzione di problemi verrebbe definito come tensione verso una conoscenza: più precisamente verso quella conoscenza che ci è utile, anche perché non si capirebbe perché dovremmo risolverla.

Bene, questa teoria ha come conseguenza che: 1) non domina il caso, o meglio che esso sia da considerare come assodato, essendo il principio di determinazione dei fenomeni e della loro possibilità, un principio che può essere tanto all’origine quanto superfluo per la spiegazione della tensione conoscitiva; 2) il vivente non fa nulla per caso, ma spinto dalla sua natura, casuale poiché facente parte dei fenomeni, cerca di soddisfare i suoi bisogni incominciando con una conoscenza del suo ambiente, costruendosi in modo autonomo i mezzi per orientarsi, distinguendo tra i vari fenomeni ciò che gli è utile e ciò che è da evitare, istaurando in generale modelli, organizzando dati che oltretutto si comunica nelle generazioni e nelle specie come insieme di conoscenze base suscettibili di ritocco.

Ora ci troviamo di fronte ad un bagaglio biologico sedimentato ed a un bagaglio culturale in fieri, il primo in evoluzione lenta, il secondo in evoluzione velocissima. Cosa ci rimane da fare? Nulla, tranne spiegare ed unificare tutti i nostri continui riferimenti a nuove operazioni scientifiche, a nuove intuizioni, a nuove ricette e scoperte, a nuovi tabù, a nuove religioni, ad improvvise rivoluzioni, come parte della nostra continua evoluzione culturale e man mano biologica: vi basta? ci basta questo per la filosofia, per i dotti, per i logici, per i matematici, ma anche per i politici, per i giornalisti e per tutti i giovani studiosi che cercano di risolvere i problemi loro e del loro tempo?

La mia risposta è che non basta, e che la pretesa di ricondurre la nostra conoscenza ad una conoscenza non mi è utile: ma perché?

Il presupposto del ragionamento della “conoscenza come soluzione di problemi” non solo risolve il problema di cosa sia la conoscenza, ma riesce ad evitare e scacciare ogni pretesa scettica o dogmatica che si voglia, dato che non presuppone di conoscere alcunché: se la conoscenza è la risoluzione di problemi, per questa teoria una volta arrivati alla soluzione si dovrà ricominciare da capo ponendo come base l’ ultima fatica e ricominciare da capo. Perciò non si vuole spiegare la conoscenza ma eliminare la supposizione che con questa parola noi ci fermiamo alla prima formulazione di una dottrina o alla prima soluzione del quesito.

Che la vita sia un continuo divenire, non so quale miracolo possa negarlo, ma che la teoria dei numeri sia qualcosa di utile per il genere umano, come la ricerca di cibo, è una comparazione di cui non trovo il fondamento. Ma mi ribatterete, anche le cose più noiose o inconcludenti sono conoscenza, perché in quanto prodotti della mente umana soddisfano il criterio di essere conoscenza, i quali non possiamo penetrare nella loro essenza, ma solo nella loro esistenza, mezzi che appunto non sono utili: ma anche l’inutilità è conoscenza, anche nel nostro organismo c’è qualcosa di inutile, nulla è programmato esattamente, anzi il progetto ce lo costruiamo noi, nella nostra biologia, in cui anche l’inutile è utile, anche la completezza è da considerarsi incompletezza: tutto quello che volete, ma chiaramente tutto è conoscenza! Questo è il motto della soluzione di problemi.

Ora, che i procedimenti di conoscenza scientifica abbiano una loro difficoltà ad essere ridotti a procedimenti certi è evidente dall’approdo modellistica della matematica: modelli probabili per la spiegazione di fenomeni circoscritti. In pratica la soluzione diventa un modello, e non ci importa più di una nuova soluzione, ma che si mantenga costante questa spiegazione con le previsioni. Se poi ci vogliamo chiedere come si approda al modello, come lo scopriamo, cosa sia la conoscenza, lì corriamo il rischio di essere tacciati di stregoneria se ci azzardiamo a dare delle spiegazioni, oppure se vogliamo fare della storia della scienza veniamo bollati di vuote considerazioni, perché è vero che la scoperta è importante ma l’utilità è ancor di più.

Andatelo a dire a Keplero, a Cartesio, a Newton se era più importante il loro metodo o la loro fede: vi avrebbero arsi vivi (con un semplice sguardo chiaramente!). Questi signori erano dei mistici, anche a loro insaputa a volte (tanto era inscindibile la metafisica dalla fisica modellistica ante litteram). Chi dice che alla fine scienza, fede e filosofia si riducono a tensione verso la conoscenza io rispondo: scienza, fede e filosofia ovvero Dio. Si vabbé, ma anche la religione, lo sanno tutti, è un prodotto del costume, un prodotto della storia e come tale della vita, delle cellule e allora: è una soluzione di problemi non è evidente?

No, non è evidente, soprattutto perché la storia della scienza e la storia in generale non si spiegano con un metodo risolutivo o ipotetico all’infinito, dato che essa è un fatto, e non si può svuotarlo, il fatto, e spiegare il tutto: il tutto è attuale come mai, il fatto è di una inattualità che supera il tempo. Sono ermetico, ma la materia richiede qualche sortilegio per essere compresa.

Il problema maggiore non è qui spiegare perché le civiltà umane abbiano certi processi in comune, certi organi in comune, i due occhi nella stessa posizione. Il problema è perché non si sono evolute culturalmente nello stesso modo, e soprattutto perché in questo diverso approccio incorra sempre il ricorso ad una divinità. Se non si sta attenti a questa premessa si rischia di rimanere immobili di fronte alla nostra cultura o peggio di spiegarla avendo di fronte un sussidiario che ce ne fa un riassunto con i termini e i capitoli già belli che pronti: questo procedimento infatti si chiama l’attuale, l’interpretazione data con i termini dell’attualità.

Ma se ci fosse bisogno soltanto di un libro di algebra del primo anno per poter spiegare la nascita dell’algebra non ci sarebbe stato bisogno neanche di inventarla, e di questo passo tutto il nostro quotidiano essere non sarebbe che ammirazione della forma senza ritornare ad essa, a fare parte cioè di essa. Il tema in questione non sarà riunire le conoscenze e contemplarle, ma risalire alla conoscenza e farne parte. Ed è proprio questa unione, che tanto si perde nell’ altra riunione, che ci rende indistinguibile la forma e ce la fa presentare come divina, come tensione certo, ma non sempre come utile, perché a volte il nostro potere è inutile e controproducente per il concetto di vita che ancora attualmente stimiamo valere.

Parliamo allora di utilità, di produzione e prendiamo come esempio il periodo più illuminante del nostro cammino, il quale erroneamente è stato costretto a chiamarsi da certi ragionevoli uomini Secolo Buio. Questa sarà la seconda tappa per cercare di riprendere il senso e farci capire quanto la questione nei confronti del sacro non sia accessoria ma all’origine di qualsiasi modello di conoscenza possibile: Dio è evolutivo quanto un recettore di un ameba, ma a volte la sua utilità ha fatto fare progressi ad una civiltà e condurre nel baratro altre, e la mia domanda sarà perché a volte il senso del sacro è utile mentre altre volte è letale, perché un modello è valido e un altro è sbagliato, perché l’uomo sbaglia continuamente mentre ricerca il suo problema, mentre costruisce la sua cultura, mentre approssima all’infinito.

A detta di molti questo non è un problema, né risolve un problema, perché il ricorso a Dio è solo un ulteriore risoluzione sbagliata del problema: ma allora la mia domanda, in questa introduzione, è: se non sto in questo caso risolvendo nulla della conoscenza, sto risolvendo un problema o non sto risolvendo nessun problema?

L’utilità di un tale modello di spiegare la tensione verso la conoscenza spero che vi faccia meditare di quanto riduzionismo e logicismo c’è nella perdita del senso nei nostri giorni.

Davide De Caprio

venerdì 6 luglio 2007

Il Claisthros.



Ecco un altro disegno della categoria degli inventati dalla mia fantasia da bambino.
Avevo, come già spiegato in precedenza, immaginato una categoria di razze primordiali, nate e vissute durante la preistoria e oltre, delle quali la Chimera era l’unica che uscisse da un contesto di pura immaginazione, essendo tale creatura un animale presente nella mitologia classica e quindi già inventato.

Il Claisthros, nella mia idea di drago preistorico doveva apparire come se fosse stato il primo dei grandi rettili alati a mettere piede sul mondo di allora.

Volevo che apparisse con caratteristiche scarne e poco definite, una bestia semplice e stilizzata, nonostante fosse immaginata come un animale vivente (nella mia fantasia si intende).

E cosi avevo tracciato questa creatura dai contorni morbidi e ruvidi allo stesso tempo, un essere che dovesse ricordare con il suo aspetto grottesco il mistero della vita in epoche antichissime dove l’ambiente dava luogo alle forme di vita più bizzarre che potessero mai esistere sul nostro mondo.



Il bozzetto del Claisthros, si presentava in modo piuttosto bizzarro alla vista di chi lo guardava .Benché non splendesse per la precisione stilistica ne per le forme poco aggraziate, nel suo insieme, dal mio punto di vista era proprio quello che volevo per esprimere l’aspetto di una creatura dal sembiante rudimentale, un essere che terrorizzava con la sola arcana presenza.


Storia riadattata del Claisthros dal quaderno di “Monsters”.

“Questo spaventoso rettile alato era stato, in epoche preistoriche, il primo rappresentante della specie mistica e misteriosa dei Draghi. Il Claisthros era molto probabilmente il risultato di un lungo processo evolutivo dettato dalla competizione tra predatori del cielo. Essendo un drago, la cui esistenza risale a tempi ancestrali, difficile dovrebbe essere saperne qualcosa, tuttavia questa razza sopravvisse per secoli e secoli dopo l’avvento dell’uomo sulla Terra, quindi è stato possibile ricavare più di qualche aspetto della vita di quest’essere.
Era prevalentemente un drago solitario che si riuniva ai suoi simili solo durante il periodo degli accoppiamenti, rapace e silenzioso era un animale estremamente vorace. I maschi potevano raggiungere dimensioni colossali e cibarsi tranquillamente di Brontosauri o Carcarodonti del Periodo Carbonifero (squali enormi).Intorno al 200-150 a.C. cominciò la decadenza della razza di questo animale maestoso a causa dell’accoppiamento tra consanguinei e della caccia da parte dell’uomo. Infatti da enormi cacciatori dei cieli, attraverso la degenerazione della razza ed il soverchiamento da parte di razze giovani, i Claisthros divennero dei voraci rettili di terra della lunghezza di appena 2 metri, poco prima della completa estinzione della razza, avvenuta a causa della caccia spropositata praticata dall’uomo.”

Nella rielaborazione posteriore ho aggiunto molti particolari alla figura di questa creatura, tenendo sempre presente che doveva risultare caratterizzato da elementi che uscivano dai normali canoni, e da qui le protuberanze ossee numerose, la pelliccia dorsale e le ali rudimentali.

Non ho ricevuto ispirazioni particolari da nulla per la rappresentazione di questo drago, tranne forse per il particolare del corno davanti al muso, che ho intravisto una sola volta, sempre nei particolari di un drago in una tela raffigurante San Giorgio, secondo la tradizione paladino e grande cacciatore di draghi.

Tra gli effetti usati nella rielaborazione al computer vi sono il cosiddetto Gaussian Blur , per il particolare delle squame del ventre basso, e lo strumento Gradient invece per la sfumatura arancione della luce solare .


Daniele Tartaglia

martedì 3 luglio 2007

Dj Shocca e Frank Siciliano Unlimited Struggle **1/2



Dj Shocca ripropone a distanza d'un paio d'anni la formula di 60 Hz (ospitare sulle proprie basi una schiera di MC da tutta Italia), affiancato stavolta in fase di produzione da Frank Siciliano, già protagonista di uno dei migliori episodi di 60 Hz.

Operazione che mantiene gli stessi pregi e difetti della precedente. Molto interessante è la possibilità di avere una carrellata della scena rap nazionale in un contesto reso omogeneo dalla produzione comune, e iniziative come queste non possono che fare bene ad una scena che negli anni ha perso coesione.
D'altro canto si ha l'impressione che alcuni MC non siano all'altezza del compito, mentre quelli di livello più alto tendono a non investire i loro testi migliori per un prodotto esterno (vedi Inoki, Amir e Club Dogo, tutti al di sotto del proprio standard).

Va a finire che i pezzi migliori sono quelli rappati proprio da Frank Siciliano (in coppia con Mistaman), il che rafforza l'impressione che gli altri non si siano impegnati più di tanto per un progetto altrui. Fa decisamente eccezione Suona sempre (con Ghemon e Tony Fine), che chiude in bellezza (sia stilistica che di contenuto) un disco altalenante e in certa misura deludente.