mercoledì 30 maggio 2007

Il microfono (parte 4)

Oggi termino il discorso sui microfoni, spiegando l’ultimo importante parametro che caratterizza questo strumento (sorvolo sulla sensibilità), ed illustrerò alcuni dei microfoni più comunemente usati.

-Direzionalità


Abbiamo detto che leggere la risposta in frequenza di un microfono ci fa capire quali suoni trasdurrà meglio, ma se riflettiamo bene ci sono una serie di informazione importantissime che la risposta in frequenza non fornisce: il nostro microfono riprenderà ugualmente i suoni provenienti da qualsiasi direzione?

In generale no, abbiamo bisogno di un altro grafico, che ci indichi quanto il microfono in considerazione, amplifica o attenua le componenti spettrali, a seconda dell’angolo che la direzione di provenienza del suono forma con l’asse del microfono.

Si usano a questo scopo i diagrammi polari. La cosa da notare, maggiormente per la direzionalità, è che un microfono che riprenda perfettamente frequenze provenienti da qualsiasi direzione, non è detto che sia utile, si pensi al caos che si creerebbe se su un palco o in sala prove si usassero microfono si fatti….

Ne esistono per questo motivo di diverso tipo a seconda delle esigenze.

La capacità di saper interpretare un diagramma polare assume così notevole importanza per il corretto utilizzo di un microfono.

Distinguiamo 4 principali tipi di microfoni a seconda del diagramma polare che li caratterizza:

-Omnidirezionale, ugualmente sensibile a tutti i suoni indipendentemente dall’angolo di provenienza.

-Bidirezionale, sensibile in due direzioni opposte l'una all'altra.

-Cardioide, si chiama così un microfono che ha una direzionalità a forma di cuore, i suoni all'interno di questo spazio sono captati, mentre al di fuori vengono notevolmente attenuati, è la combinazione di un omnidirezionale e di un bidirezionale (con un po’ di fantasia si vede).

A seconda della percentuale dell'uno e dell'altro, si hanno vari tipi di cardioide, che si distinguono essenzialmente in cardioide semplice, supercardioide e ipercardioide.

Tre tipologie di massima per microfoni dinamici direzionali sono:

1. Microfoni destinati alla grancassa, costruiti con una considerevole superficie della capsula, come il D112 della AKG, e dotati di una grande robustezza.

2. Microfoni idonei alla ripresa di strumenti musicali dal registro medio e alto. Capsula con superficie media, come lo Shure SM57, utilizzato per rullante, per le chitarre e strumenti vari.

3. Microfoni per il canto sono di solito a forma di cono gelato, tipico esempio è lo Shure SM58.

Ci sarebbe poi tutto un discorso sull’utilizzo dei microfoni che è però un’ argomento non riguardante molti di voi perciò lo tralascio, l’unica cosa: i microfoni sono fatti di circuiti elettrici che per loro natura temono l’umidità, il sacchetto antiumido che viene fornito nella confezione è consigliabile non disperderlo!

Chi fosse mai interessato ad approfondire possono essere utili qualunque tipo di dispense, prese da università che hanno corsi di sistemi di elaborazione e/o acquisizione audio, come quelle dell’università degli studi di Modena e Reggio Emilia da cui ho tratto spunto e soprattutto grafici.

Ilario Ferrari

lunedì 28 maggio 2007

East Coast o West Coast?

"Anche mio figlio ascolta musica hip-hop"

"East Coast o West Coast?"

"E che ne so? Per me sono uguali!"

Nonostante l'opinione dei due personaggi del dialogo, tratto da About a boy di Nick Hornby, le differenze fra l'hip-hop East Coast e quello West Coast ci sono e sono profonde a tutti i livelli, nel sound, nei contenuti e nell'atteggiamento.

Innanzitutto bisogna premettere che i primi passi la cultura hip-hop li ha mossi sulla costa orientale degli States, e per la precisione in quel di New York, città che ancora oggi resta il fulcro di tutto ciò che passa sotto la definizione di East Coast.

L'approccio della costa Ovest (che invece trova il suo centro in Los Angeles) è quindi derivativo, il che forse può spiegare, in parte, le differenze che andremo ad analizzare.

A livello di sound, attraverso tutte le evoluzioni stilistiche che l'hip-hop ha compiuto in una storia ormai trentennale, è costante una profonda differenza, riassumibile in una concezione più sperimentale e rivolta alla contaminazione ad Est (pensiamo alle incursioni nel rock di gruppi seminali come Run-DMC e Beastie Boys, alle sperimentazioni electro-funk di Afrika Bambaataa, alle influenze jazz subite dal collettivo Native Tongues e dai Gang Starr, ai frullati sonori dei Public Enemy e poi, in tempi più recenti, alle produzioni ricche di influenze indiane di Timbaland per Missy Elliott), cui fa da contaltare il forte legame del sound West Coast con il soul e soprattutto col funk, rielaborati in versione più moderna ed efficace.

Anche i contenuti, e più in generale l'atteggiamento degli artisti e del pubblico hip-hop, è di stampo molto differente da costa a costa: il rap West Coast è caratterizzato da toni aspri e violenti, esaltazione della vita criminale (la "Thug Life" tatuata sul petto di Tupac Shakur) e di ideali materialistici: soldi, gioielli ("Bling bling"), armi, auto di lusso, champagne, potere mafioso, prevaricazione machistica nei confronti del sesso debole, ridotto a bene di consumo.

In una parola un atteggiamento da gangster, da cui la definizione di Gangsta-rap o G-rap. Negli anni alcuni di questi aspetti sono penetrati anche nell'immaginario di esponenti della scena orientale (Notorius B.I.G. era un gangster e spacciatore non meno del suo rivale Tupac), ma in generale la East Coast, e soprattutto New York, ha mantenuto l'originale vocazione creativa dell'hip-hop, cultura nata, è bene ricordarlo, non per manifestare violenza bensì per incanalare l'aggressività attraverso l'espressione di sé e la competizione attraverso la creatività piuttosto che con le armi.

Quindi i messaggi mafiosi e violenti di artisti West Coast come Snoop Dogg, Tupac Shakur e NWA hanno ben poco da spartire coi testi impegnati di Afrika Bambaataa, Nas, Public Enemy, Krs-One.

E anche l'abbigliamento è certamente diverso: l'originale tenuta da b-boy newyorkese (tuta sportiva oversize, scarpe da basket e cappellino da baseball) si è modificata col tempo anche sulla East Coast, ma mantenendo uno spiccato sapore "street" che invece è spesso sostituito da vestiti

eleganti ed esibizione di gioielli da parte dei rapper West Coast. Va comunque detto che collane d'oro e ammenicoli brillanti vari sono comuni ad ambedue le scene, e sono più che altro un'eredità della cultura afroamericana (presente dal jazz al soul al funk), estremizzata però nella sua importanza dal filone gangsta-rap.

Negli ultimi anni alla storica contrapposizione East Coast - West Coast si è aggiunta una terza scena, inesistente fino a pochi anni prima: il Dirty South, caratterizzato generalmente da un sound molto elettronico, sporco e dalla battuta lenta, un rap grezzo nei contenuti come nella forma (spesso l'MC non enuncia neanche delle strofe, ma si limita ad incitare la folla), ed una estetica materialista in modo simile a quello gangsta, anche se senza i riferimenti alla mafia.

Se il party gangsta era popolato da spacciatori arricchiti in gessato che fumavano sigari attorniati da modelle seminude ed asservite, quello South è un delirio collettivo, con MC che urlano e corpi che si scuotono sbavando addosso a modelle altrettanto seminude ed asservite (certe abitudini tendono a resistere...), laddove il party East Coast è più simile ad un concerto (il rap è più centrale) e oltre a ballare addosso alle solite modelle i b-boys si gustano anche le evoluzioni sul floor dei breakers e i virtuosismi ai piatti dei dj.

Emanuele Flandoli

sabato 26 maggio 2007

Music News

Tornano i Subways: 6 pezzi nuovi


Nel gennaio 2005 l'NME aveva inserito i Subways tra "i dieci nuovi nomi che saranno grandi nel 2005".

Per altri il settimanale musicale britannico è stato profetico, per i Subways decisamente meno. Perché, se da quella lista sono poi venuti fuori dei bei nomi (Bloc Party, Kaiser Chiefs, Arcade Fire), altri sono rimasti in un mezzo limbo.

E' il caso di Kano ed appunto dei Subways. Ora quest'ultimi sono tornati in azione con un concerto; con lo show il trio britannico di Welwyn Garden City ha dato l'arrivederci alla patria prima di trasferirsi negli USA per registrare il secondo album. L'NME riferisce che lo show, svoltosi al Buffalo Bar di Londra, è durato 45 minuti e che i Subways hanno fatto ascoltare ben sei nuovi brani.

I titoli delle nuove canzoni: "I won't let you down", "Kalifornia", "Turnaround", "Burst", "Shake! Shake!" e "Girls & boys". Tra il pubblico è stato notato Ryan Jarman dei Cribs, il gruppo il cui nuovo album è stato prodotto da Alex Kapranos dei Franz Ferdinand.(Fonte: "New Musical Express")

Chris Cornell: 'Da solo mi sento più libero'


Ogni tanto le carriere prendono svolte inaspettate. Qualche anno fa Chris Cornell era reduce dai Soundgarden, aveva pubblicato un disco solista ignorato da molti e si ripresentava al grande pubblico con gli Audioslave, formati insieme agli ex Rage Against The Machine, giurando che non era un progetto estemporaneo.

E davvero sembrava fosse così: tre dischi pubblicati in pochi anni, molti concerti, ma all'ultimo album non segue nessun tour. Improvvisamente Cornell torna solista, prima con la canzone del nuovo film di James Bond.

Poi con un disco intero, il primo dopo "Euphoria morning" del 1999, annunciato in contemporanea allo scioglimento della band. Oggi Cornell è in tour per presentare “Carry on”, in uscita questo venerdì, e per parlare con i media.

E' tranquillo, rilassato, ma la sua carriera non sembra avere ancora una direzione definitiva, nonostante lui faccia di tutto per farti credere il contrario.“Credo di non essermi mai divertito tanto a suonare quanto in questo periodo”, racconta. “Posso scegliere la musica, le canzoni da portare sul palco... Non devo mediare con nessuno”.

Forse il sottotesto è: negli Audioslave c'era troppo da discutere. Cornell lo esplicita poco dopo: “ 'Carry on' è il mio disco più libero, nei riferimenti, nei suoni. Per esempio, a Tom Morello non piacciono i Beatles, che sono la mia band preferita, e lui adora Springsteen, che a me non fa impazzire. Non devo più condividere le influenze con nessuno nella band”.

Il risultato è un disco che alterna rock duro, come il nuovo singolo “No such thing”, a brani più rilassati, e addirittura ad una cover di "Billy Jean" di Michael Jackson, anche se non ha un'identità musicale vera e propria che non sia la (splendida) voce del cantante.

Stranamente, o forse no, è prodotto da Steve Lylliwhite, storico produttore pop. “Ci sono produttori di diverso tipo”, controbatte se gli si chiede perché non abbia scelto un produttore più rock. “Alcuni si chiudono in uno studio e scelgono l'assolo migliore tra milioni di registrazioni.

A me non interessano, io sono concentrato sulla musica. Mi hanno suggerito Steve da una lista, mi piaceva l'idea di un produttore non specializzato sul rock, che non arrivasse con la sua lista dei trucchi di studio, ma che dovesse partire con me da zero. Ci siamo trovati bene”.

Comunque sia, Cornell non sembra intenzionato a guardarsi troppo indietro, anche se nella scaletta dei concerti (stasera all'Alcatraz di Milano) c'è spazio per canzoni provenienti da ogni fase della sua carriera.

“Ho fatto pace con il mio passato, e mi piace riappropriarmi di canzoni che magari ho suonato poco o non ho mai suonato del tutto, dal vivo.

Ma io sono cambiato, e così cambiano anche le canzoni”. Il futuro, conclude, è quello di rimanere in tour per i prossimi due anni. Speriamo sia la volta buona che un talento come il suo trovi la collocazione che merita.

Contrordine: Syd Barrett (Pink Floyd) ha lasciato 2 milioni e mezzo



Lo scorso 13 novembre Rockol riportava una notizia, relativa al testamento di Syd Barrett, uno dei fondatori dei Pink Floyd, in cui si affermava che il musicista, scomparso a Cambridge nel luglio 2006, aveva lasciato l'equivalente di 1.800.000 euro.
Oggi, circa sei mesi dopo, due quotidiani britannici asseriscono che invece la cifra ammonta a 2.500.000 euro.
Probabilmente sono stati fatti meglio i conti, includendo nella nuova somma l'incasso dalla vendita della casa di Cambridge in cui Roger Keith "Syd" Barrett (6 gennaio 1946) aveva vissuto, in maniera estremamente ritirata, per molti anni.

In dettaglio si specifica che Syd ha lasciato l'equivalente di 625.000 euro a suo fratello Alan, mentre gli altri tre della sua famiglia, cioé Rosemary Breen, Ruth Brown e Donald Barrett, riceveranno 404.000 euro ciascuno.

Un'orchestra nel futuro di Giovanni Allevi


Si sono appena conclusi con il tutto esaurito i due concerti che Giovanni Allevi ha tenuto al Blue Note di New York, e il giovane pianista si ritrova già impegnato a pensare ai prossimi progetti.
"Sto lavorando su qualcosa di molto romantico e struggente, è come se stessi tornando a casa: sono partito da sonorità jazz, ma ora mi sto avvicinando sempre più al cuore dell'Europa", ha raccontato Allevi. "Ho scritto anche dei brani per orchestra, e a dicembre farò una breve tournée di dieci giorni con gli archi dei Berliner". (Fonte: La Repubblica)

venerdì 25 maggio 2007

Graffiti-Tra arte atavica e moda odierna.#1

Li abbiamo studiati tutti nella nostra carriera scolastica, li abbiamo ammirati e odiati,ma restano comunque la testimonianza di epoche remote, dove il mondo selvaggio diventava uno spettacolo quotidiano da immortalare dentro la propria dimora umida e buia, che improvvisamente diventava una caverna delle meraviglie.

Sto parlando dei graffiti, quelle, a mio avviso, splendide e stupefacenti incisioni, opera dei nostri antenati, spaccati di vita quotidiana in un mondo preistorico, nel quale il più semplice gesto meritava di essere glorificato sulle pareti di grotte o caverne dove si abitava o ci si rifugiava durante i pascoli uggiosi o le battute di caccia.

Proprio queste sembrano essere il tema portante, il soggetto di molte pitture rupestri, donandoci un senso di vicinanza con il passato (ancora oggi ci si gloria con una foto della preda cacciata o pescata), e facendoci scorgere con l’occhio dello spettatore, dell’archeologo o dello scienziato l’importanza delle cose ivi raffigurate.



















Ecco alcuni esempi:
In alto due graffiti della Val Camonica (Lombardia-provincia di Brescia)
e,più in basso, un graffito ritrovato a Cheremule(Sardegna-provincia di Sassari)

Taluni esperti del settore attribuiscono a queste rappresentazioni un carattere puramente celebrativo o religioso, con il quale spiegano anche alcuni simboli pressappoco indecifrabili anche per un occhio esperto, non dimentichiamoci però che nella società umana, odierna e atavica, sciamani e sacerdoti sono sempre esistiti.

Resta comunque il fatto che molte rappresentazioni sono state ritrovate in luoghi più adibiti al pascolo delle greggi che non alla caccia, e quindi posti dove non si doveva né propiziarsi la preda né celebrare chissà quali riti, posti dove la voglia di passare il tempo senza noia portava molti sbuffanti pastori ad incidere sulla pietra queste figure.

Tuttavia siamo sempre nel caso delle ipotesi ma, trattando un campo come quello storico l’incertezza del materiale rimasto, porta solo a supporre e non ad essere sicuri di ciò che si dice.

Spostandosi verso il concreto dell’argomento, vediamo la tecnica con la quale le incisioni rupestri (dette anche petroglifi oltre che graffiti) sono state fatte o si possono ancora fare.

I graffiti non sono altro che il risultato di un paziente lavoro di picchiettature o raschiatura della roccia con l’ausilio di una pietra più dura di quella lavorata a forma di punta o scalpello(molte volte venivano usate le punte degli attrezzi a portata di mano, quali pugnali di bronzo o ferro),il quale lavoro portava alla creazione di una fitta rete di fori che formavano così la figura desiderata.

Spesso su tali fori venivano applicate delle sostanze coloranti, per dare sfumature diverse ai singoli elementi della rappresentazione, tenendo in considerazione anche gli effetti cromatici della combinazione luce-colore in determinati momenti del giorno; quasi un’anticipazione del movimento impressionista e questa non è ironia.

Difatti i graffiti, i più antichi dei quali risalgono al Paleolitico(2 milioni di anni fa), se visti in particolari momenti della giornata o con determinate condizioni atmosferiche, risaltano alcuni particolari appena percettibili o del tutto invisibili nel resto del tempo.

La bellezza di questa eredità tramandataci dalla storia è quella che si palesa davanti ai nostri occhi, bambini, adulti e anziani: la conoscenza del fatto che la storia dell’arte e dell’espressività umana comincia proprio in quei solchi scavati nella nuda roccia, in quei tratti stilizzati che riassumevano le passioni dei loro autori, così come la loro vita e il futuro che avrebbero voluto(il quale non sempre si identificava nella buona riuscita della caccia).

Il termine graffito ha subito modifiche radicali nel corso degli anni, indicando particolari tipi di tecniche artistiche o atti vandalici che molti considerano un’altra forma d’arte(le cosiddette “tags”).

Ma di tutto ciò ne parleremo un’altra volta.


Daniele Tartaglia

giovedì 24 maggio 2007

Il lettore di comics

Luci ed Ombre di Spider-Man 3

Sono ormai trascorse due settimane da quando è uscito nelle sale di tutto il mondo e Spider-man 3 ogni giorno che passa continua ad affermarsi come film più visto in assoluto battendo ogni record di incassi.

Tuttavia il terzo capitolo del tessiragnatele più famoso al mondo ha suscitato alcuni dubbi sia nella critica che in me, umile lettore di comics e appassionato al mondo MARVEL (e non solo).

Certo il film di Sam Raimi non ha nulla di criticabile in quanto ad effetti speciali e al cast che personalmente penso sia ben calato nelle parti: soprattutto Tobey Maguire nelle vesti del timido ed impacciato Peter Parker.

Gli aspetti criticabili sono soprattutto nella storia e nei personaggi presenti, alcuni dei quali sono poco o mal analizzati.

Primo su tutti è l’uomo sabbia che da super cattivo e acerrimo nemico di Spider-man nell’universo Marvel, nella trasposizione cinematografica rimane sì una minaccia, ma una minaccia che suscita grande tenerezza nello spettatore.

Infatti si scopre che Sand-man non è altro che un amorevole papà spinto al crimine per poter offrire alla figlia malata una speranza di guarigione.

Altra discrepanza col mondo marvel sono le fattezze fisiche di Venom.
Infatti l’alieno nero nelle storie in cui lo vedono antagonista di Spidey, è un essere incredibilmente grosso e con una corporatura che farebbe invidia a Tison.

Nel film invece eccolo là esile con pochi (anzi senza) muscoli ma con un’incredibile velocità.



Ma la cosa che più mi ha sbigottito è stata la comparsa (inspiegabile) di Gwen Stacy.

L’averla inserita nel terzo capitolo della saga ha creato un’ incongruenza con la storia a fumetti imperdonabile.

Infatti Gwen nel mondo cartaceo spideriano è stato il primo vero amore di Peter Parker ancora prima della storia con Mary Jane.

E il loro amore si sarebbe coronato col matrimonio se un evento drammatico non avesse mutato il destino dei due.

Infatti Gwen viene rapita dal Goblin che, per colpire Spidey al cuore, non esita a gettarla dalla sommità di un ponte.
L’uomo ragno cerca di fare l’impossibile per salvala ma, per la povera ragazza la morte è inevitabile.





La sua comparsa nella pellicola solleva molte domande: anche questa Gwen avrà il medesimo destino? Se sì per mano di chi visto che i due Goblin sono entrambi morti?

E comunque anche se si verificasse questo avvenimento non avrebbe più la stessa importanza e la stessa drammaticità visto che ormai l’amore tra Parker e Mary Jane sembra essere arrivato a momento culminante con l’imminente matrimonio.

Comunque Spider man 3 resta un tripudio di effetti speciali e di scene dal forte impatto visivo.
Mitici i momenti in cui Parker corrotto dal potere del simbionte si lascia andare a spacconerie di ogni sorta e a varie megalomanie (stupenda la battuta nel bar dove apostrofa una cameriera “cosce d’oro”).

Il risultato è che da 1 a 10 prenderebbe una piena sufficienza per gli effetti ,ma un bel 4 per la storia.


Dario Carpineti

mercoledì 23 maggio 2007

Il microfono (parte terza)

Illustro una delle principali caratteristiche che i costruttori utilizzano per descrivere le prestazioni di un microfono, la cui comprensione ci può aiutare molto nell’acquisto e nell’utilizzo di molta strumentazione musicale.

E’ importante soprattutto per i musicisti, gli amanti dell’elettronica ma anche per chiunque ascolti musica con una certa cura, conoscere e volendo approfondire i concetti che esporrò.


-Risposta in frequenza
Ho parlato spesso nei precedenti articoli del suono ed accennato a come, in sostanza i matematici, abbiano trovato dei modi, per formalizzare in formule e grafici, il contenuto in frequenza di un suono.

Abbiamo detto che il termine frequenza, volendo semplificare, ci indica quanto vibra la “membrana” che produce un determinato suono, oppure da un altro punto di vista, quanto vibra il timpano del nostro orecchio…..

Il microfono ha il compito di convertire variazioni di pressione in variazioni di tensione, proprio tramite una apposita membrana.

Sorgerà spontaneo domandarsi: questa membrana è in grado di seguire allo stesso modo le oscillazioni pressorie per ogni valore della frequenza ?

Ovviamente la risposta è no.

Sono determinanti sia il principio di traduzione impiegato, che le caratteristiche del materiale con cui si progetta il diaframma.

Senza entrare nel merito di ciò, voglio descrivere lo strumento che comunemente si utilizza, per descrivere come un microfono “risponde alla frequenza” del suono…..

E’ un grafico che si chiama apposta risposta in frequenza oppure (per i più matematici) diagramma di Bode delle ampiezze della funzione di trasferimento del sistema.

Ogni microfono deve riportare la curva che rappresenta la sua sensibilità alla pressione a seconda della frequenza.

Quello rappresentato in figura è un esempio caratteristico:

Non entro nei meriti di come matematicamente si ottiene un grafico del genere perché servirebbero molte pagine solo per questo, comunque si nota quanto sia in realtà molto semplice comprendere il significato del diagramma.

Sull’asse orizzontale sono riportate le frequenze espresse in Hertz come è nella convenzione del sistema internazionale.

Sull’asse verticale, sono riportati i valori dell’amplificazione espressi in decibel (20log10A dove A è il modulo dell’amplificazione).

In sostanza il grafico ci indica quanto il microfono in esame amplifica (o attenua) il suono al variare della frequenza.

Si intuisce come l’ideale sarebbe una uguale amplificazione per ogni valore della frequenza, diagramma piatto, ciò è fisicamente impossibile e diciamo anche inutile.

Perciò si progettano molti tipi di microfoni adatti a riprendere suoni provenienti da alcuni strumenti piuttosto che da altri.

Il grafico riportato ad esempio, attenua molto “suoni” al di sotto di 500Hz e risponde bene fino a 4kHz circa, per quanto detto sulla voce umana, si capisce come un tale microfono sia utilizzabile con decenti risultati per il canto.

In genere la sensibilità alle basse frequenze subisce notevoli variazioni a seconda della distanza del microfono dalla sorgente sonora. Poiché può essere importante valutare questo parametro, in molti casi sono riportate diverse curve per le basse frequenze, a seconda della distanza.

Nella figura un esempio tipico di microfono per la voce:

Trovo veramente potenti i concetti che sto cercando di esprimere in un modo spero comprensibile a molti.

Basti pensare all’enorme applicazione anche solo nel mondo della musica (pick-up per strumenti, altoparlanti, amplificatori, cuffie…..)

Per chi non lo sapesse già, tutte le caratteristiche tecniche di ogni strumento che in buona sostanza sono uguali a quelle che sto descrivendo per i microfoni, devono essere specificate nel libretto delle istruzioni del prodotto acquistato.

Ilario Ferrari

sabato 19 maggio 2007

Colle der Fomento


Anima e ghiaccio ****
Rome Zoo (Autoproduzione)

I Colle der Fomento tornano sulla scena dopo ben otto anni di silenzio discografico, in linea con la propria tradizione hardcore, in barba ai trend del momento e soprattutto autoprodotti nonostante la possibilità di uscita su major.

Ciò che cambia è la formazione del gruppo, dopo l'uscita di Ice One: se nei live la postazione del dj è stata presa stabilmente da Dj Baro, la produzione di Anima e ghiaccio è stata affidata a numerosi beatmaker, dal funk di Mace alle sperimentazioni di Squarta, dai beat potenti di Mr.Phil all'old school di Dj Stile.

Anche l'attitudine di Danno e Masito cambia, i testi sono oscuri, paranoici e riflettono una rabbia ed una frustrazione covate a lungo. La Roma adorata di Scienza doppia H si è trasformata in una metropoli frenetica e spietata (bellissima RM confidential, su beat di Bonnot), mentre la scena hip-hop si disperde o peggio muta in modo inconsistente.

I Colle der Fomento mettono in scena mondo oscuro ed ostile, dove l'unica possibilità sembra restare fedeli a sé stessi, contro tutto e chiunque (“sto dall'altra parte d'ogni posto, al lato opposto d'ogni regola”), non in nome di una qualsivoglia ideologia politica, ma difendendo l'hip-hop, unica oasi in mezzo a tempi cupi: “Se l'hip-hop è morto, rapperò al suo funerale”.

venerdì 18 maggio 2007

Il grifone terrestre-arboreo (grifone primate)



Ecco un altro disegno tratto dal quaderno di disegni che avevo chiamato “Monsters”.Questo era il primo disegno del secondo capitolo di questo mio lavoretto infantile.

Avevo in fatti diviso in due capitoli la trattazione di queste creature fantastiche:razze primordiali e razze discendenti.Il grifone terrestre arboreo faceva parte delle razze discendenti nonostante,a differenza dei suoi cugini alati,non potesse essere considerato un erede spirituale della Chimera.

Talmente grande era il fascino esercitato su di me da questo essere che lo avevo messo anche nella copertina di questo mio mini almanacco di mostri e creature fantastiche,infatti questo “animale” ha sempre attirato la mia fantasia e questo disegno,nonostante sia legato alle comuni rappresentazioni di questa creatura,è una mia particolare interpretazione di quella che avevo considerato una specie.



Questo bozzetto tratto dal quaderno di “Monsters” era, figurativamente parlando, piuttosto magro. Quando lo ritrovai, mi sembrava di aver disegnato un cane Bassotto con la testa di un piccione dal becco adunco





Il mio rifacimento odierno rispecchia di più le descrizioni arabesche di questa creatura,vista e descritta come un essere dal corpo leonino e la testa di un rapace.
Considerando il suo aspetto verrebbe da chiedersi: "E le ali che fine hanno fatto??"
Ammetto che in questa mia rivisitazione avevo già in mente la chiara distinzione dei grifoni discendenti nella mia mente.

Ho pensato che il grifone primate dovesse essere semplice nella sua natura,quindi privo di protuberanze ossee o ali che lo avrebbero reso un animale più complesso di questo da me rappresentato.

Storia riadattata del Grifone terrestre-arboreo tratta dal quaderno di “Monsters”.

“Il Grifone terrestre-arboreo nacque quando il mondo era ancora intriso della magia primordiale che lo aveva plasmato insieme ai suoi esseri.Un leone ed un aquila reale,lottando per la contesa di una preda,incapparono in un flusso di tale magia,unendosi a formare un unico animale,ma evidentemente la credenza non è veritiera,dal momento che questo animale formava della vere e proprie colonie,quindi non era unico nel suo genere,ma il frutto di strane evoluzioni di una stessa specie.Questa creatura era solita vivere nei boschi e nelle foreste ,muovendosi con eguale grazia sia sugli alberi che sulla terraferma.Raramente attaccava l’uomo,solo quando si sentiva minacciato,preferendo invece nutrirsi di piccoli e medi mammiferi o di uova.Era questo il più piccolo tra i grifoni e l’unico che non emetteva fuoco dalla bocca, perciò anche il meno temibile.La sua natura essenzialmente poco mistica e piuttosto selvatica era indice del fatto che fosse l’unico grifone delle razze discendenti a non avere una discendenza spirituale con la Chimera.Era un animale bizzarro,a volte pericoloso,senza nessun tipo di intelletto particolare e senza la capacità di distinzione tra bene e male,se non quella che gli era suggerita dal solo istinto.Nonostante la sua parentela con i suoi eterei cugini alati,rimaneva pur sempre una bestia,e la sua estinzione fu dovuta proprio al fatto che era considerato un animale da braccare come qualsiasi altro.Il suo sangue era usato per creare particolari inchiostri,la sua criniera e la sua pelliccia per fabbricare vesti di pregiata fattura,mentre becco e artigli per produrre medicamenti."

Parliamo ora della parte tecnica del disegno.Non c’è granché da dire,a parte il fatto che ho usato lo strumento aerografo per la colorazione del sole e di quella che dovrebbe sembrare una foresta,ai piedi della rupe sulla quale il grifone si trova.

Nel rifacimento originale i colori del disegno erano del tutto diversi,così come il sole e la vegetazione sottostante la rupe.Durante la rielaborazione al computer ho cambiato secondo quanto ritenevo migliore.

Ho cercato di inglobare il più possibile caratteristiche di un leone e di un rapace dentro quest’unica figura,anche se le descrizione del grifone come animale di miti o leggende,sono di volta in volta diverse.

Come al solito la mia immaginazione ha fatto scaturire la rappresentazione,e la rappresentazione dimostra la mia idea di grifone.


Questa doveva essere la copertina della mia enciclopedia di mostri e creature.Come si può notare reca l’immagine del grifone primate,la creatura da me preferita in tutto il quaderno.Poi col tempo avrei cambiato idea ,ma restava comunque uno dei mostri da me più amati.




Daniele Tartaglia

giovedì 17 maggio 2007

Comunicazione di servizio

Il blogger Emanuele Flandoli alias Signor Phleks suonerà questa sera gioved' 17 maggio, alle ore 22, al Trecentosessantagradi (zona San Lorenzo - Roma) , insieme al gruppo indie-rock Orange:

"Faccio rap perché non ho soldi per la psicoterapia" il Sig.Phl

p.s.

da oggi il suddetto blogger verrà indicato con il suo vero nome negli articoli e nella finestra dei bloggers

The MATblog

Il microfono (parte seconda)

La maggior parte dei microfoni in commercio si possono suddividere in queste due grandi classi a seconda del tipo di trasduttore di pressione che essi montano, dunque a seconda del principio fisico che essi usano per la traduzione (o traduzione che dir si voglia) del suono.


-Microfoni Dinamici

La parte principale del microfono è il diaframma, cioè un piccolo elemento di solito a forma circolare, costruito al giorno d’oggi con un materiale plastico speciale, che viene messo in vibrazione dalle onde sonore. Al diaframma è collegata una bobina mobile (il conduttore indicato in figura, in sostanza un avvolgimento di metallo ) immersa in una campo magnetico generato da un piccolo magnete fisso, di solito a forma di anello.


La legge fisica è quella di Faraday- Neumann-Lenz fem=-dΦ/dt in base alla quale si stabilisce uno stretto legame tra il mondo del magnetismo e dell’elettricità. Quando in un campo magnetico viene fatto muovere un conduttore, in questo conduttore si genera una corrente elettrica i Quanto più intenso sarà il campo magnetico, tanto più intensa sarà la corrente elettrica che si genera Quando in un conduttore circola corrente elettrica, per la legge di Ohm ai suoi capi si crea una differenza di potenziale, cioè una tensione elettrica, che rappresenta le variazioni di pressione dell'onda sonora, ed è proprio il segnale che desideriamo esca dal microfono.

Nello specifico:

Quando il diaframma, messo in vibrazione dalle onde sonore, si muove oscillando in su e in giù, fa muovere anche la bobina ad esso solidale, e ai capi della bobina si genera una tensione elettrica che segue, più o meno fedelmente, l’andamento dell’onda sonora.

Vi sono diversi tipi di microfoni dinamici, che si differenziano moltissimo a seconda della qualità (da pochi Euro, come i microfoni forniti di serie con le schede audio più comuni, e adatti per applicazioni vocali) fino a centinaia di Euro, adatti per applicazioni musicali.

Fra le caratteristiche dei microfoni dinamici si può ancora citare la relativa insensibilità ai rumori meccanici esterni (come il maneggiamento del microfono) e lo spiccato effetto di prossimità, cioè la caratteristica di variare la risposta in frequenza, e quindi la timbrica, a seconda della distanza del microfono dalla sorgente sonora. I microfoni dinamici sopportano, generalmente, elevate pressioni acustiche.

-Microfoni a Condensatore

Il microfono a condensatore, invece, è basato su un principio elettrostatico: all'interno del microfono viene disposto un condensatore, costituito di due sottili lamine dette armature.

Una delle due armature è mobile (diaframma), in modo da essere sensibile alla pressione sonora. Alle piastre viene applicata una tensione continua di 48 Volt, chiamata phantom power (alimentazione fantasma) che viaggia sugli stessi conduttori usati per portare il segnale.

Quando il diaframma è sollecitato da un'onda sonora si muove, e la distanza fra le piastre varia, modulando perciò la tensione continua. Infatti, la carica di un condensatore dipende, oltre che dalla tensione applicata, anche dalla capacità.


La legge fisica é la seguente: Q = C V dove appunto Q é la carica, e nel nostro caso é costante. Come si vede dall'immagine, la capacità (grandezza fisica che dipende dalla natura geometrica e dal mezzo, che nel nostro caso é aria) aumenta all'avvicinarsi delle "armature" (di cui una é fissa). Aumentando la capacità, la tensione deve diminuire per lasciare costante il loro prodotto (perché la carica é costante). Ecco spiegato a grandi linee il funzionamento

Con adatti circuiti (filtri che fanno una media mobile) la tensione continua viene eliminata, e rimante soltanto la parte alternata, che costituisce proprio il segnale elettrico che ci serve, e che segue l'andamento di pressione dell'onda sonora.

-Confronto

Queste descrizioni sono estremamente approssimative ma ci forniscono almeno gli elementi essenziali per distinguere le due categorie di microfoni.

I microfoni dinamici sono più resistenti ed economici, reggono maggiormente gli alti volumi, ma il compromesso é che hanno una maggiore inerzia al movimento, dovuta a motivi costruttivi (la pesantezza di membrana e avvolgimento), quindi non rendono i transienti come i condensatori, e spesso hanno una risposta in frequenza limitata.

Viceversa i microfoni a condensatore vanno trattati con più cura (anche perché sono molto più costosi), non vanno bene (di solito) in situazioni con alti volumi, ma sono precisissimi nei transienti, e hanno una risposta in frequenza più ampia e lineare (cioè più fedele alla realtà).

mercoledì 16 maggio 2007

Music News

Voci: pronto (dopo 7 anni) il nuovo album degli AC/DC

Secondo voci piuttosto insistenti, ma tuttavia non ancora commentate dai diretti interessati, il nuovo album degli AC/DC sarebbe stato completato.

Il CD degli australiani rimarrebbe per ora in un cassetto, in attesa di organizzare la promozione che sarebbe decisamente lunga e laboriosa; la pubblicazione sarebbe prevista per il gennaio 2008. Il successore di "Stiff upper lip" del 2000 sarebbe ancora senza titolo.

Pare, sempre secondo indiscrezioni, che il tour mondiale degli AC/DC possa partire immediatamente a ridosso dell'arrivo del disco nelle rivendite. Il CD verrebbe anticipato di circa tre mesi da un DVD doppio.

Per la prima volta un album di black metal al numero 1 in classifica

E' la prima volta che un disco di black metal riesce ad arrivare fino al primo posto in una classifica.

E' accaduto -indovinarlo era forse facile- in Norvegia, nazione che è stata la culla di questo genere musicale. L'onore è spettato a "In sorte diaboli" dei locali Dimmu Borgir.

Altri due album erano quasi riusciti nell'impresa, alla fine fermandosi però al numero due: era accaduto a "Now, diabolical" dei Satyricon ed al precedente CD degli stessi Dimmu Borgir, "Death cult Armageddon".

L'etichetta discografica dei Borgir aveva avuto sentore di un buon risultato ed aveva fatto mettere in onda uno spot pubblicitario; i risultati non si sono fatti attendere.

La riuscita dell'album è forse anche da imputarsi all'eccellente recensione pubblicata dal più diffuso quotidiano nazionale, che prima della pubblicazione di "In sorte diaboli" aveva assegnato al disco il punteggio massimo.

Gene Simmons: mai più con i Kiss. A meno che...

Gene Simmons ha affermato che non andrà mai più in tour con i Kiss perché non sopporta i vizi dei suoi compagni Ace Frehley e Peter Criss.

Il bassista e cantante vuole bene ai compagni di tante avventure, ma non ha più voglia di reggerli per un'intera serie di date. "Voglio molto bene ad Ace, è un ragazzo dolce, ma è il peggior nemico di se stesso.

E' una persona ottima quando ha in giro un sacco di gente, ma, quando è da solo, lui non piace a se stesso. E allora si intontisce. E' da 34 anni che si intontisce. Personalmente non voglio andare in tour con loro.

Voglio bene ad Ace e Peter, gliene ho sempre voluto, e visto che gli voglio bene non ho mai avuto paura di dire che sono dei drogati e degli alcolisti e che si sono distrutti", ha affermato Simmons.

Ma, dopo aver dichiarato la sua avversione ad un ritorno dei Kiss nella line-up "classica", il rocker ha fatto intendere che, se per caso giungesse qualche sostanziosa offerta, allora un pensierino potrebbe pure farlo.

"Comunque mi riservo il diritto di cambiare idea su Ace e Peter in qualsiasi momento", ha detto. "Mai dire mai. Si dice che le persone non possano essere comprate; ma, alla fine della predica, anche Dio passa con la cesta delle offerte".

Prime indicazioni sul sound del nuovo album dei Metallica

In che direzione sta andando il nuovo album dei Metallica? E' ancora presto per poter dare indicazioni molto precise, ma ugualmente Kirk Hammett ha provato a spiegare le sue sensazioni.

Il chitarrista ha affermato che, in qualche modo, la band tende ad inglobare sonorità mediorientali. Lo stesso Hammett non è stato in grado di approfondire razionalmente l'argomento, fornendo un ragionamento che si presta decisamente ad essere interpretato.

"C'è un tema veramente inusuale che si sta infiltrando nella musica", ha detto il musicista riferendosi alle 14 canzoni in lavorazione. "Non sono proprio sicuro di come dovrei reagire. Parecchia musica ha un'inclinazione armonica dell'est, una relativa inclinazione armonica.

Non so se sia solo lo Zeitgeist, il segno dei tempi, o forse perché, cioé, la cultura mediorientale è così prevalente, o forse le cose negative sulla cultura mediorientale. Ci sono passaggi con sonorità che suonano in maniera araba o mediorientale, e li si sente in tutte le canzoni".

Intanto i 'Metallica si sono aggiunti alla lista dei gruppi che si esibiranno presso il ricostruito Wembley Stadium londinese. La formazione statunitense suonerà il prossimo 8 luglio nell'ambito del breve tour europeo denominato "Sick of the studio '07".

Le altre date:

1° luglio, Werchter festival in Belgio
3 Rockwave festival ad Atene
5 Vienna
10 Oslo
12 Stoccolma
13 Aarhus, Danimarca
15 Helsinki
18 Mosca.

Gerardo Spatuzzi

domenica 13 maggio 2007

Vignetta della domenica


Anche se solo caricature,ecco i blogger artefici degli articoli che leggete.Mancano due di loro perchè al nostro primo incontro,immortalato in questa vignetta ,non sono potuti venire.
Da sinistra:Ilario Ferrari,Gerardo Spatuzzi,Davide De Caprio,Paolo Ferrera e quell'omaccione dietro di lui sono io.Un saluto a Phleks e a Michele"Kardio"Pastore che non sono potuti venire e che spero di conoscere al più presto.

Daniele Tartaglia

sabato 12 maggio 2007

Das Leben der Anderen


Premio Oscar come miglior film straniero, acclamatissimo dalla critica e dal pubblico, da alcuni ritenuto il film della stagione e quello che riporta il cinema tedesco a fasti degli anni Settanta.

Non ha bisogno di presentazioni il film di von Donnersmarck, una storia umana di redenzione nella forma di un elegante thriller sullo sfondo plumbeo della Germania dell’Est del 1984.

Uno dei primi e ancora pochi film che rompono il tabù che il popolo tedesco ha con il proprio passato, in questo caso la DDR (Repubblica Democratica Tedesca), finora preceduto dagli ironici Goodbye Lenin di Becker (2002) e Zucker di Ubchen (2004).

Un ufficiale della Stasi, la temutissima polizia della Repubblica Democratica, viene incaricato di spiare una coppia di intellettuali apparentemente allineati con il regime, ma il loro dissenso, una volta trovato o costruito, può far comodo a eminenti dirigenti del partito.

Il successo o il fallimento di questa operazione può far decollare o distruggere le carriere degli ufficiali della Stasi coinvolti, dato il rapporto clientelare che intercorre tra i politici e i membri della celebrata e temuta “spada e scudo del partito”.

Il film è attraversato da due filoni paralleli fortemente strutturati tra loro: il “sistema” e una coppia, mediati da due personaggi che testimoniano la caratteristica della natura umana di rimanere in bilico tra scelte etiche e scelte egoistiche, e di essere trascinata dagli eventi nell’una e nell’altra direzione.

Da una parte l’uomo del sistema, gradualmente redento dal contatto con la coppia che deve spiare, dall’altro la donna, sempre più traviata dal sistema. Due cambiamenti di campo che costeranno molto a entrambi.

Prima accanto e poi di fronte ai due personaggi in metamorfosi, stanno i due omologhi che non abbandonano i rispettivi schieramenti e sopravvivono alla fine di questi ultimi.

La storia prende la forma di un thriller estremamente elegante che realizza pienamente la forte presa sul pubblico tipica del genere, senza ricorrere a quegli espedienti inflazionati impiegati come ornamento per supplire alla povertà di molti film di successo effimero.

La narrazione non subisce facili accelerazioni né indugia su banali patetismi tipici di un uso premonitore della musica. Allo stesso modo l’unica vera svolta narrativa, corrispondente alla scoperta del reale andamento dei fatti da parte del protagonista, non è sfruttata con dilatazioni temporali e musiche didascaliche come riuscirebbe troppo facile per un regista meno maturo.

Al film non mancano punte di ironia, ma non sono funzionali ad una rappresentazione edulcorata della DDR come nel precedente Goodbye Lenin. Ciò nonostante non cade nella rozzezza semplificatrice di mostrare un regime con quei caratteri di grossolana brutalità che è normale aspettarsi: qui il “male” è molto sottile e professionale nelle sue pratiche e non è motivato dal fanatismo quanto piuttosto dall’interesse in un sistema allo stesso tempo oppressivo e corrotto.

É una Repubblica Democratica molto diversa dalla benigna guardiana di moralità di Goodbye Lenin, bensì è una macchina spietata che allontana ogni velleità nostalgica. A onore del bellissimo e leggero film di Becker va detto che la sua spassosa rappresentazione del regime è consapevolmente e dichiaratamente fantastica.

Il film si chiude con ottimismo sulla redimibilità della condizione umana, seppure con la malinconia di considerarne i costi e l’implicito bilancio dei sopravvissuti al regime e di quelli del regime, nettamente favorevole ai secondi che non hanno pagato e si sono probabilmente reinseriti con successo nell’ampliata Repubblica Federale.

venerdì 11 maggio 2007

Thorin Scudodiquercia



Negli articoli in cui vi espongo i miei disegni, credo sia palese la mia propensione verso il fantasy ,genere artistico a me molto gradito, nonostante la mia indole di appassionato dell’arte in tutte le sue forme e generi.

Convinto di non essere l’unico cultore di questo indirizzo artistico, mi accingo a presentarvi il buffo ometto corazzato che vedete qui sopra, i cui tratti sono stati ispirati da un opera letteraria ovvero “Lo Hobbit” di John Ronald Reuel Tolkien.

Thorin Scudodiquercia è un fiero e direi regale esponente di una delle razze create da questo autore di romanzi fantasy, creatore di un universo fatato e fantastico che va sotto il nome di Arda, ovvero il mondo dove si trova sia la Terra di Mezzo sia Valinor ,il reame dell’Ovest.

Thorin fa parte della stirpe dei nani, abili scavatori di miniere e di gallerie sotterranee ,maestri fabbri e lavoratori di mitrhil, metallo più prezioso di qualsiasi pietra o lega nell’universo tolkeniano.

Citato una sola volta sia ne “Il signore degli Anelli” che ne “Il Silmarillion”, libri fondamentali per chiunque si voglia avvicinare alla lettura dei romanzi di quest’autore, questo personaggio svolge un ruolo da cooprotagonista nel libro de “Lo Hobbit”.

Egli fa parte ed è a capo di un gruppo di suoi simili, i quali ,aiutati dal mago Gandalf cercano aiuto presso lo hobbit (un’altra razza) Bilbo Baggins, volendolo coinvolgere nella missione che li spingerà oltre le Terre Selvagge del mondo, alla riconquista della Montagna Solitaria o Erebor, antico reame del popolo nanico, unico luogo dove Thorin potrà tornare “Re sotto la Montagna”,e diventato nel frattempo la tana di Smaug, un temibile drago.

Ecco come viene presentato Thorin ne “Lo Hobbit”.

“Bilbo corse per il corridoio arrabbiatissimo, completamente sconcertato e sconvolto: questo era il peggior mercoledì di tutta la sua vita!Aprì la porta con uno strattone e caddero tutti dentro,uno sopra l’altro.Altri nani, altri quattro! E dietro c’era Gandalf che stava appoggiato al bastone e rideva. Aveva fatto una bella ammaccatura sulla porta ,e, tra parentesi, aveva cancellato il segno segreto che vi aveva posto il mattino precedente.
“Attento! Attento!” disse “Non è da te far aspettare gli amici sullo zerbino, Bilbo, e poi aprire la porta come un fulmine! Permettimi di presentarti Bifur, Bofur, Bombur e specialmente Thorin!”
“Al vostro servizio” dissero Bifur, Bofur e Bombur stando in fila. Poi appesero due cappucci gialli e uno verde pallido, e anche uno azzurro cielo con una lunga nappa di argento. Quest’ultimo apparteneva a Thorin, un nano estremamente importante, non altri, anzi, che il grande Thorin Scudodiquercia in persona, che non era stato contento per niente di cadere disteso sullo zerbino di Bilbo con Bifur, Bofur e Bombur sopra di lui. Tra l’altro Bombur era enormemente grasso e pesante! Thorin in realtà era molto altero, e la parola servizio non gli uscì affatto di bocca, ma il povero signor Baggins si scusò tante di quelle volte che alla fine egli grugnì “per favore, non importa” ,e spianò il suo cipiglio.”


Thorin ,nano di stirpe reale, conserva un atteggiamento altero e aristocratico per maggior parte dell’opera, ma rimandando alla lettura del libro le potenziali curiosità scaturite, vi parlo della mia creazione.

Ho rappresentato il personaggio con l’armatura e le armi tipiche del suo popolo, mentre il ramo sul quale si appoggia altro non è che il suo scudo, dal quale il soprannome di Scudodiquercia. I tratti del viso sono ruvidi e sprezzanti perché con essi ho voluto rappresentare l’indole e il carattere del soggetto.

Accanto alla corona-elmo fatta di oro ho aggiunto particolari in cui il colore celeste chiaro sta ad indicare il mitrhil, chiamato nel libro anche con il nome di “veroargento.”, e le pietre preziose ,particolarmente amate da questo popolo di minatori.

Ho usato un effetto particolare nel rappresentare il colore della caverna retrostante la figura, si chiama “Cloud” ed è fatto per rappresentare al meglio le nuvole, ma con l’utilizzo di determinati colori è molto versatile su altre rappresentazioni.




Questo è il primo bozzetto di Thorin.
Come si può notare le linee del viso
lo rendono più dolce e mansueto
rispetto alla mia odierna
rappresentazione ,nella quale si staglia
oltre il mezzo busto per divenire una
figura più completa e minacciosa





Daniele Tartaglia

giovedì 10 maggio 2007

Un po’ di archeologia, un po’ di etica

Notizie di ricostruzioni e tentativi di costruzione

Come uno scavo e un ritrovamento supposto possa rappresentare lo spartiacque al limite della paura e della speranza.

Il ritrovamento della tomba di Erode da parte dell’ Istituto di Archeologia di Gerusalemme si scontra con la sua importanza per i fatti del presente, rappresentando una buona prova per Israele dei suoi diritti storici sull’area nelle vicinanze di Hebron, mentre apporterebbe una minaccia per i Palestinesi: il pretesto di Israele per costruire a sud di Gerusalemme:

“Shaul Goldstein, a leader of the Gush Etzion settlement bloc south of Jerusalem, told the Ynetnews Web site that "the discovery is further proof of Gush Etzion's direct link to the history of the Jewish people and Jerusalem.

Nabil Khatib, the Palestinian Authority's director of the Bethlehem district, said international law prohibits Israel from removing artifacts found in the occupied territories. "This is robbery of Palestinian artifacts," he said.”

La tecnologia si riscopre patrimonio del passato quando un gruppo di studenti del MIT, coordinati dal ricercatore John A.Ochsendorf, cercano di riprodurre le tecniche e di utilizzare i materiali degli antichi ponti sospesi Inca.

L’esperimento è non solo una prova del differente approccio di una società lontana, ma anche la riscoperta di un metodo di studio dell’archeologia che vive i suoi materiali nel tempo, a cavallo delle culture.

Così viene (ri)scoperto che il progresso tecnologico non è caratterizzato solo dall’ utilizzo di ciò che è migliore, ma di ciò che la cultura considera attraverso la sua ideologia e il suo criterio estetico:

“If people use materials in different ways in different societies, that tells you something about those people,” Professor Heather Lechtman.

“If the students’ bridge holds, they will have learned one lesson: engineering, in antiquity as now, is the process of finding a way through and over the challenges of environment and culture.” The New York Times

Come la Federal Communications Commission cerca di regolamentare la violenza nei media, neutralizzando gli argomenti della libertà di parola, della supervisione dei genitori sui figli e delle attuali definizioni di violenza nei programmi:

“The television industry is not correcting itself to the satisfaction of parents – whose children watch an average of two to four hours of TV a day. Eighty-two percent of parents with young children say violence in children's programming is a major concern. Nine in 10 say it has a serious negative impact on their kids.

Government regulation is tricky here because the courts have protected violent speech and depictions under the First Amendment. But doing nothing would leave children at greater risk to models of violence. And it would leave society at greater risk of aggression committed by people who were influenced by violent media, as many studies show.” CSMonitor

La Corea del Sud ormai ama i Robot, li fabbrica e spera che per il 2020 ve ne siano uno per casa. Ma il problema maggiore riguarda non tanto la ricerca di una intelligenza sempre più forte, ma a creazione di un futuro codice etico delle macchine.

Passando per la fantascienza, tra Terminator, RoboCop e Blade Runner, la robotica sud-coreana chiede aiuto alle regole di Asimov per stabilire un rapporto tra l’essere umano e l’automa.

Gleen McGee analizza gli interrogativi sulla natura, l’ostilità, il rapporto umano –non umano e le derive al limite tra abuso e rapporto di intimità con le nuova “schiavitù” cibernetica:

“It remains to be seen whether robots will become in some sense intelligent androids, capable of interacting as peers with humans and other parts of the world. In the meantime, we are much closer to making robots with “strong intelligence” than we are to creating a code of ethics to guide our stewardship of tin men, or to protecting humanity from misbegotten robotics. Either the effort to create a code of ethics to shape the evolution of robotics will be embraced, or we may reap the consequences. It only remains to be seen who will wake up first.” The Scientist

Davide De Caprio

mercoledì 9 maggio 2007

Il microfono (parte prima)

Mi rendo conto che il discorso che farò su questo dispositivo potrà sembrare interessante per musicisti, o qualunque persona del settore che si voglia orientare in queste tematiche, ma non utilissimo ai più.

In realtà vi accorgerete, che comprendere queste semplici nozioni di base potrà ad esempio aiutarvi nell’acquisto di qualunque accessorio (altoparlanti, cuffie…) che indubbiamente ognuno di noi userà nella vita quotidiana.

Dopo tutti i discorsi circa la potenza del digitale, e sulle “inaspettate” ricadute di questo tipo di tecnologia su molti aspetti della nostra vita di tutti i giorni……

La tecnologia analogica che fine ha fatto?

Fermo restando che lavorare in digitale è indubbiamente meglio nell’elaborazione dei segnali, noi esseri umani però, udiamo ovviamente segnali analogici (reali) non sequenze di numeri.

Ci sarà bisogno innanzitutto di una tecnologia volta alla conversione di segnali numerici in analogici poi, se riflettiamo, avendo ormai capito che un suono è un onda pressoria che trasporta energia meccanica, dovendo elaborare segnali digitali che sono però variazioni di tensione elettrica, avremo bisogno per cominciare a fare qualunque cosa sul nostro elaboratore, di un oggetto che mi converta l’energia meccanica trasportata dal suono reale in energia elettrica…..

A questo servono i trasduttori.

Chiariamo prima di tutto in generale cos'è un trasduttore. Aprendo un qualsiasi dizionario, scopriamo che il termine sta ad indicare un "dispositivo che trasforma una grandezza fisica in un'altra".

Nel caso di trasduttori acustici le grandezze coinvolte sono quelle sopraelencate.

In musica i trasduttori che compiono quest’operazione sono chiamati microfoni.

In campi quali il cinema, la televisione, la radio, la musica, il microfono è parte essenziale e imprescindibile del processo di creazione del prodotto finale, ed è quindi essenziale operare una scelta appropriata e intelligente, sia per quanto riguarda il microfono stesso, che per quanto riguarda la tecnica di ripresa del segnale, al fine di apportare un buon contributo sonoro, che risulti del livello appropriato per la realizzazione complessiva.

Ogni microfono nasce per un utilizzo specifico, ed è estremamente importante conoscerne funzionamento e caratteristiche per giungere a buoni risultati.

Articolerò il mio discorso in più parti, data la quantità di argomenti non trascurabili da dover trattare.

I microfoni si possono classificare in svariati modi, a seconda delle proprietà adottate per lo scopo, dunque è utile dare una descrizione delle caratteristiche fondamentali di un microfono:

Il principio di traduzione in base al quale parliamo di microfoni a condensatore, dinamici, piezoelettrici....

la risposta in frequenza che ci indica in buona sostanza la fedeltà di traduzione del suono originale.

La sensibilità cioè il rapporto fra, ampiezza del segnale elettrico uscente dal
microfono e ampiezza del segnale acustico, è cioè un'espressione del
rendimento del microfono. Viene di solito espressa in mV/Pa (milliVolt per
Pascal).

La massima pressione acustica o pressione acustica limite espressa in dB (decibel),
specialmente critica per la registrazione di strumenti in grado di produrre
suoni di grande intensità, come gli strumenti a percussione.

La direzionalità che esprime la capacità del microfono di captare più o meno bene
i segnali, in base alla direzione di provenienza.

Ovviamente alcuni dei concetti potranno risultare oscuri, perciò oltre ad averli elencati li analizzerò di volta in volta.

Comunemente la prima grande distinzione tra microfoni si attua in base al principio di funzionamento (principio di traduzione), dunque coerentemente con ciò proseguirò descrivendo i vari tipi di microfoni in commercio in base alla fisica che c’è dietro la trasduzione del suono.

Ilario Ferrari

martedì 8 maggio 2007

Jamie T

Panic Prevention ****

Pacemaker Records/Virgin

La scena musicale londinese di questi ultimi anni è caratterizzata da un fermento senza pari nel mondo.

Da una parte l'esplosione dell'indie-rock made in the UK che ha coinvolto migliaia di ragazzi (a Londra nel 2006 sono state vendute il doppio delle chitarre elettriche vendute nel 2000), dall'altra una scena hip-hop che ha raggiunto la piena maturità svincolandosi dai canoni dettati dai cugini americani.

E poi il reggae che non è mai tramontato nei quartieri neri, le nuove derive dub, la minimal-house, la techno, l'elettronica che imperversa nei party della metropoli inglese.

Il ventiduenne Jamie T è figlio di tutto questo, la sua musica è un folle frullato di chitarre indie-rock, bassi ipercompressati, ritmi in levare, metriche ragga-rap, drum machine da due soldi e tastiere giocattolo, il tutto condito da un do-it-yourself sfrenato e da una evidente propensione all'alcolismo.

Il tutto senza mai perdere di vista la forma-canzone, con ritornelli sbilenchi che si appiccicano all'orecchio e non si staccano più.

Stonato, superficiale, confusionario, suonato e mixato male, in una parola geniale.

sabato 5 maggio 2007

Le proteine nella musica, i nuovi hackers wi-fi e il verme di lunga vita

Un programma della gene2music è un curioso progetto di ricerca che unisce il campo musicale a quello biologico.

Utilizzando delle proteine come prototipi vengono assegnate delle note agli amino acidi permettendo di avere a disposizione un range di 2,5 ottave.
In pratica vengo elaborate delle sequenze musicali che rappresentano alcuni tipi di proteine e che possono essere suonati da chiunque. Inoltre si può contribuire ad un database di file audio inviando i file midi che suonano gli spartiti messi a disposizione dal sito del progetto.

La gene2music si occupa di sperimentare il ruolo delle arti applicate alle matematiche, alla biologia e alla scienza della mente. Nel caso delle proteine, l’articolo della ABC conclude con una nota che rifletta la limitatezza e la caratteristica giocosa di una tale ricerca, nota da principio ai responsabili di un tale progetto:

“But DNA has only four potential 'notes' - the compounds that make up the rungs on the double-helix ladder - and this is musically limiting, the researchers say.” ABC

Un nuovo tipo di frode interattiva preoccupa i gestori degli Starbucks café inglesi, dove ci si può connettere wi-fi con il proprio laptop. Il Timesonline fa una inchiesta e si vengono a scoprire dettagli su come attuare la frode e della facilità di poter gabbare l’identità di una rete vicina direttamente istallando un software e creando un tunnel all’interno del hotspot pubblico:

“In a speech about wireless security last week, Phil Cracknell, a technology officer at Deloitte's, said: "This type of attack where the operator sits around and harvests details while you are connected to the hotspot is destined to become the new type of phishing.” Timesonline

Non sarà un regime di austerità alimentare a ridurre le nostre calorie. Un gene scovato in un verme riesce a restringere la nostra assimilazione di calorie e a far aumentare la nostra permanenza terrena di un valore del 40 percento. Il gene riesce ad aumentare il livello di proteine SODs che eliminano i radicali liberi. Si pensa già di testare il gene attraverso la creazione di un farmaco, un elisir di lunga vita di cui ancora però non si conoscono l’efficacia e l’applicabilità reali:

“Prof Dillin said that they would also test a range of drugs to see if they can find some that boost the activity of the human equivalent of the worm gene and, in theory, boost longevity.

So far, only one other gene, called sir-2, has been implicated in the life- and health-prolonging response of the body to calorie restriction. Increased use of the gene extends longevity of yeast, worms, and flies.

However, the link is not so clean cut because the loss of sir-2 disrupts the calorie restriction response only in some strains of yeast and has no effect on other organisms, such as worms” Daily Telegraph

venerdì 4 maggio 2007

Storia del foglio che divenne creazione.











A sinistra un origami a forma di castoro, a destra la forma classica per un origami:la gru giapponese.



Chi di noi non ha mai provato a fare un aereoplanino di carta o la classica barchetta con un foglio di carta o di un materiale che fosse pieghevole.

All’inizio sembrerebbe complicato piegare il foglio in combinazioni che portano ad un risultato finale soddisfacente,ma ,una volta presa la mano,l’operazione risulta semplice e meccanica,tanto che si arriva a crearsi il proprio stormo o la propria flotta cartacea in pochi minuti.

Quelli della barchetta o del piccolo aereo sono esempi,possiamo dire,”embrionali” di una tecnica che in Oriente,più precisamente in Giappone,ha trovato illustri cultori divenendo una forma di arte per chi osserva dall’esterno e parte della cultura nazionale e della tradizione giapponese,per quanto effimera possa essere come arte,l’origami (dal giapponese:ori = piegare ,kami = carta).

Ma attenzione!Con origami non s’intende solamente il piegare la carta per conferirle la forma di un animale o di un oggetto miniaturizzato(origami complesso).Con questo termine si può intendere anche un cappellino da festa o un aereoplanino (origami semplice).

L’origine di questa tecnica,praticata fin dall’epoca Edo(1603-1867),è da ricercarsi nel cerimoniale di piegatura della carta,altrimenti noto come noshi,risalente all’epoca Moromachi(1398-1593).

L’origami di origine europea è rappresentato dalle varie Pajaritas o Cocottes spagnole e francesi che simboleggiavano un piccolo uccello,risalenti pressappoco al XVI secolo.

Tutto comincia,secondo la tradizione,con un foglio quadrato che viene piegato con pochi tipi di piegature,le combinazioni delle quali vanno a dare forma alla creazione artistica della cosa rappresentata,che non ha canoni di dimensione come il foglio utilizzato per farla,che però non deve subire tagli da parte di forbici o altro ma solo essere piegato.

L’artista tedesco Joseph Albers,di corrente minimalista e fondatore della teoria moderna dei colori,tra il 1920 e il 1930 insegnò quest’arte della piegatura della carta,ma la sua tecnica prevedeva l’utilizzo di fogli circolari che si piegavano in spirali e forme ricurve.

Il pedagogista Friedrich Fròbel riconobbe l’elevato potenziale educativo di quest’arte e lo inserì nel suo “kindergarten system”come metodo di educazione nei primi del 1800.

Con il giapponese Akira Yoshizawa assistiamo alla rinascita moderna di quest’arte e l’introduzione di nuove tecniche,quali quelle chiamate soft-folding o wet-folding,la prima che prevede diversi modi di piegare,ora più morbido,ora più deciso e marcato per creare particolari effetti,la seconda che prevede una leggera umidificazione del foglio durante la piegatura,in modo che questo mantenga la propria forma.

Ricordiamo in fine l’introduzione di un novo tipo di origami,quello modulare,nel quale molti modelli vengono assemblati per formare un unico origami,come quello della foto in basso.


Una delle forme origami più famose è la gru giapponese. La leggenda dice che chiunque pieghi mille gru avrà i desideri del proprio cuore esauditi.

A causa di questa leggenda e di una piccola ragazza giapponese chiamata Sadako Sasaki, la gru giapponese è diventata un simbolo di pace. Sadako fu esposta alle radiazioni della bomba atomica di Hiroshima quando era una bambina e questo minò inesorabilmente la sua salute. Era una hibakusha, una sopravvissuta alla bomba atomica.

A quel tempo, nel 1955, aveva 12 anni e stava morendo di leucemia e sentendo questa leggenda decise di piegare mille gru,in modo che si avverasse il suo desiderio di poter continuare a vivere.

Il suo sforzo non riuscì ad allungare la sua vita, ma spinse i suoi amici ad erigerle una statua nel Parco della Pace di Hiroshima: una ragazza in piedi con le mani aperte ed una gru che spicca il volo dalla punta delle sue dita.

Ancora una volta l’arte simboleggia il desiderio umano di spingersi oltre la normalità e la speranza,in un mondo dove la speranza non esiste perché non vi sono fattori che la cagionino.

Daniele Tartaglia

mercoledì 2 maggio 2007

Parliamo del male, della tecnologia e del volto umano

Consigli di un giovane ai giovani sulla perdita del senso
(prima parte)

Non voglio risolvere alcun problema, né accresce questioni ma aprire un dibattito nel cuore di tutte le persone che si domandano perché il mondo va in un certo modo e quale sia il nostro compito, ovvero il compito di giovani studiosi attenti ai problemi e mai soddisfatti della prima versione di un evento.

Poiché la materia è lunga e richiede il coraggio di esporsi in maniere totale e perenne voglio inoltrarmi su tre punti fondamentali che dispiegherò nel corso di queste settimane: il male, la tecnologia e il volto umano.

La prima obiezione che mi si può fare è perché scrivo in un blog di mia iniziativa, che tratta ti arte e di scienza, questioni che entrano nel merito di problematiche universali. Fin dal primo articolo che ho scritto ho voluto far notare che il perno centrale delle questioni che girano intorno ad un tale progetto è sì la scienza, ma quella che si interroga sulla sua natura e sui suoi scopi.

Di fronte a questa considerazione di ciò che viene dichiarato scientifico pongo il problema che viene sempre più eliminato dalle questioni scientifiche: la fede, la credenza, la questione della verità e le questioni ultime della conoscenza. Non dico che la scienza le abbia disconosciute, ma anzi che le manovri con così grande facilità da averle superate e deglutite in nome dell’utilità dei suoi mezzi.

Cosa c’entra il male se si può eliminarlo in modo tecnico? Cosa c’entra oltretutto il vuoto e la perdita di senso, se si riduce l’evoluzione del mondo a qualcosa di spiegabile in sé?

Bene, sappiamo tutti che il giovane medio italiano nella maggior parte dei casi non si schiera da nessuna parte, è disincantato, addirittura da alcuni sondaggi che leggo oggi (1 maggio 2007), su Repubblica, è molto labile, sospeso tra più identità, compresso nel gruppo e nella rete di amicizie scolastiche e comitive mutanti, in una sorta di rapporto familiare con l’altro ma senza la vecchia istituzione della famiglia, al di fuori del recinto di casa: poiché è la comitiva la casa o l’identità che man mano viene a costruirsi.

Senza fare moralismi, la mia generazione, quella dei ventenni di oggi, ha in parte virato verso questo fenomeno nuovo e in parte se ne è allontanata, per motivi sia culturali sia per una entrata veloce nel mondo del lavoro. La generazione dei ventenni di oggi ha però le stesse caratteristiche del dinamismo destra-sinistra dei nostri padri, conservatori e rivoluzionari. Quella parte che è stata traghettata verso un nuovo concetto di filiazione tra coetanei ha fatto entrate all’interno di un tale dualismo anche il fenomeno della stasi, dell’assenza di polarità, producendo quello che a ragione si è chiamato“disincanto”.

Era normale che tra una dicotomia delle ideologie forti (sempre però all’interno di una costruzione in molti casi antica di famiglia, in entrambi gli schieramenti) e una assenza di queste si venisse a creare una originale ideologia, che media tra le due e si pone come uno stimolo forte o un impulso alla costruzione dell’ ideale di legalità e pulizia nel mondo, nei fatti, nei confronti della storia e dell’educazione di chi ci conduce in modo becero (nel nostro paese e fuori).

Quello che sto scrivendo da quale ventenne proviene? Di quale mistura voglio impastare il mio quesito e la mia riflessione?

L’indole del mio status è quella dell’osservatore e dello studioso, che ancora crede e vive nell’idea della filiazione familiare antica e nell’idea (mai ideologia) della ricerca di una identità: attenzione, la ricerca non è una poltrona d’oro, non è un lasciapassare per la stasi, ma è una tensione verso alcuni principi che man mano possono anche venir cambiati, ma in nome di una onestà intellettuale e di un pensiero attivo, non come quello di una identità che si dichiara fin dalla sua nascita come passiva ed imperturbabile (uno scetticismo delle tribù e delle comitive nell’adolescente medio oppure un disfattismo alla ricerca delle sue prede, tipico del ventenne che si dichiara non tanto apolitico ma legalmente nella giusta idea di real politic).

Veniamo allora al dunque, al male in primis. I fatti tragici non li vediamo più come un simbolo dell’oscurità, l’uomo moderno e secolarizzato, informato o non, non percepisce più l’attuale come se fosse all’interno di un mondo che contiene il male. Ciò che una volta era peccato oggi è biologia, mancata applicazione di una regola, immagine da scaricare se volete, tecnicismo dell’azione umana, in pratica un evento spiegabile non più per mezzo di una entità che è al di là dell’uomo ma solamente comprensibile attraverso il metro di giudizio dell’uomo isolato nei suoi fenomeni.

Ciò che è più grave inoltre è che il male, in questa sua completa risoluzione, non si pone più come una domanda ma come una risposta alla quale rispondere senza alcun tentennamento. Se il male può essere codificato, essere chiarito in modo efficace, esserne trovate le radici della sua essenza, allora l’uomo può anche estirparlo, sempre in modo tecnico, in nome del piacere, della soddisfazione e del ludibrio, addirittura usufruendo del male stesso come mezzo per mettere da parte il dolore (l’aborto, pillola abortiva, eutanasia, esperimenti su embrioni), quello si il vero volto di ciò che deve essere evitato. Sono un conservatore? Sono un clericale? La mia posizione cerca di guardare nei fatti, facendo una autopsia al progresso e constatare come il problema del male sia sempre in noi avvertibile in ciò che è visibile (perché è dato dall’informazione, dal giornale, dal video) mentre lo escludiamo in ciò che è invisibile o che opera attraverso la lente dell’infallibilità (non quella ex chatedra Petri, ma quella dello scienziato cartesiano ed ateista allo stesso tempo).

“La riflessione filosofica contemporanea considera la reale possibilità del superamento del male. La secolarizzazione ha portato al massimo la convinzione che l’uomo possa vincere il male con le sue conoscenze scientifiche, le sue conquiste tecniche e con la cooperazione internazionale globalizzata” (Angelo Amato, Segretario della congregazione per la Dottrina della fede)

Perché la filosofia contemporanea, nella sua veste di conoscenza più alta, quella discorsiva, quella che si batte tra prove e controprove esclude il problema dell’esistenza del male proprio nei tempi moderni, quando è stata sempre al centro delle discussioni metafisiche, da Leibniz a Paul Ricoeur ?

Dietro questa esclusione ed allo stesso tempo incapacità di dare una pur minima identificazione al male, c’è la stessa preoccupazione che Kant esprimeva per la fine della metafisica nell’epoca della critica dei saperi scientifici. La metafisica era rimasta nell’indifferenza, si era arenata e non riusciva a rinvigorirsi attraverso quel mutamento di metodo che la matematica e la fisica avevano attuato attraverso una chiara distinzione dei loro oggetti e della loro estensione:

“E’ vano infatti fingere indifferenza nei riguardi di indagini del genere, il cui oggetto non può mai essere indifferente alla natura umana. Gli stessi presunti indifferenti, anche se cercano di mimetizzarsi dando un tono popolare al linguaggio di storia, tosto che pensano qualcosa, finiscono inevitabilmente per cadere in quelle affermazioni metafisiche verso cui ostentavano tanto spregio.” (Emanuele Kant, Prefazione alla prima edizione della Critica della ragion pura)

Ma il filosofo di Konigsberg è importante anche perché ha scisso la questione della fede e della ragione, separando i due piani e indirizzandoli verso due tipi ragioni, rispettivamente una pratica ed una pura. Ritorneremo su questo punto per analizzare il rapporto tra fides e ratio, nella possibilità di un loro incontro e non di un loro scontro, in cui il controllo della tecnologia è il sintomo della nostra razionalità più matura e non più oscurantista.

A chi bisogna riferirci per porre i fatti in una luce diversa, per rispondere alla sfida che il male ci rilancia sempre, ad ogni mossa, come se la tentazione del diavolo a Cristo nel deserto fosse una partita che si rinnova sempre, e sembrerebbe non avere fine?

Il mio consiglio è quello di non disprezzare, ma anzi seguire nell’attuale l’insegnamento di qualcosa che sempre più riteniamo come passato e come ridicolo: la morale giudaico-cristiana. Non credo che possa piacere a tutti una cultura secolarizzata che pensa di vivere come se il male non ci fosse. Forse non tutti sono d’accordo sul fatto che oggi la modernità non voglia più convivere con esso ma si sforzi per combatterlo. Personalmente credo di no, e la risposta sta proprio nell’onestà di comprendere il consiglio suddetto come una radice della nostre comprensione dell’attuale.

Una delle campagne più grandi dell’ateismo e dello scientismo che si è diffuso nella secolarizzazione moderna è che l’uomo grazie alla tecnologia possa essere libero di agire secondo la sua propria natura, avendo smascherato chi fosse il vero male che non permetteva all’uomo di poter godere l’esperienza della vita.

La liberazione dall’idea che l’entità del male è un elemento materiale estirpabile e secondario (un software a cui possiamo accedere come ad una pagina di un libro giallo sull’omicidio di Cogne, un gioco da poter filmare e scambiare tra coetanei per telefonino, una strage ad una università bollata come semplice diffusione di armi in un paese in cui il possesso di un’arma è un diritto, le maestre di Rignano Flaminio subito bollate di pedofilia senza conoscere i fatti ma solo attraverso testimonianze prima di un processo), pone chi lo considera come qualcosa di spirituale, di oltre umano, del male come qualcosa che supera il singolo e va a rappresentare un potere che si annida nelle opinioni false e nella vita mediatica (una atmosfera o una coltre diffusa che non è un mero difetto o disturbo dei nostri geni) , in uno stato di inattualità, come se il Vangelo e l’Antico Testamento non fossero adatti a spiegare meglio il male di come lo facciamo noi, presunti laici, atei, in cima ad una montagna a guardare in basso come ad uno stato iniziale oramai inutile arrivati in vetta.

“Personalmente mi rifiuto di vedere nel cristianesimo una qualunque forma di invito alla rassegnazione, anzi lo considero un appello straordinario alla volontà e alla libertà dell’uomo. Scorrendo le pagine dei Vangeli, si vede quanto spazio abbia lasciato il Cristianesimo alla libera scelta di ognuno, dall’invito a seguirlo rivolto al giovane ricco all’atteggiamento verso i suoi discepoli. Del resto, se le società cristiane si sono evolute di più delle altre nel corso della storia, non è forse a causa di questa scintilla? Secondo il cristianesimo, la storia degli uomini, pur avendo un suo senso, non è già stata scritta. Al contrario, questa religione rifiuta qualunque idea di fatalità o destino, a vantaggio dell’esercizio della libertà e della responsabilità dell’uomo, aiutato dallo Spirito.” (René Rémond, accademico di Francia, “Il nuovo anticristianesimo”)

Oggi sbirciando nel concerto del primo Maggio a Roma, ho sentito il presentatore nell’anteprima che ironicamente scherzava sulla Chiesa e l’evoluzionismo: la Chiesa non si è evoluta ecco perché ce l’ha con l’evoluzionismo. Spero che alla mente ed al cuore di noi giovani attenti questa rimanga una battuta (anche se per molti è una certezza). Il mio atteggiamento non è quello di dovermi e dovervi convertire al cattolicesimo, ma di non considerarlo come estraneo ai tempi che viviamo, come ad una storiella di cui si mette in dubbio anche l’origine (Odifreddi) o si vagheggia su matrimoni della Maddalena (Dan Brown).

L’avvento di un Papa teologo come Ratzinger non è un assalto alla comprensione di ciò che è bene o che è male, ma una grande opportunità per noi studiosi di confrontare la nostra ragione che spiega i fatti con chi invece scrive e ha scritto tesi sulla conciliazione tra fede e ragione, tra il Dio dei filosofi e il Dio della fede, tra l’attuale e l’inattuale.

Ma soprattutto credo che il nostro pensiero sia un pensiero debole, che ha paura del male ma crede che esso si sia evoluto e faccia parte del caso. Se questo fosse il metro di giudizio allora non credo che i problemi del mondo possano essere risolti, anzi la risoluzione dei problemi a cui tutta la conoscenza viene assimilata in un adattamento continuo al caso, non si potrebbe porre il problema del male, perché esso è di per sé spiegabile: è infatti un problema come gli altri e risolvibile come un problema matematico.

Da giovane che dialoga con altri giovani spero che il male non sia posto come una questione qualunque, ma come un quesito metafisico, alto, da temere per comprendere, da considerare come al di là della razionalità per essere risolto nelle sue conseguenze terrene: tra la facilità del male e dei fatti e la profondità del mondo opto per la seconda, ma sempre con la coscienza kantiana di non poter dominare un campo così radicale attraverso la sola ragione ma servendomi della ratzingeriana armonia con il campo della fede.

Davide De Caprio