martedì 22 aprile 2008

Edward Norton Lorenz

Una vita per il caos


Due giorni fa mi ha colpito la notizia della scomparsa di Edward Norton Lorenz uno dei più grandi scienziati del novecento, una di quelle persone che, a mio avviso, ha gettato con la sua ricerca una pietra fondamentale nel futuro della scienza.

E' morto a Cambridge, in Massachusetts, all'età di novant'anni. Tra i più grandi meteorologi di tutti i tempi, è passato alla storia come padre della teoria del caos. Nato nel 1917, quando ancora le previsioni meteorologiche non erano che fantascienza, Lorenz durante la Seconda Guerra mondiale fu previsore per l'esercito americano e decise di consacrare la sua futura carriera a migliorare la qualità dei bollettini meteo.

Dotato di una solida formazione matematica, come docente al MIT di Boston cominciò negli anni Sessanta a sviluppare su rudimentali computer i primi modelli di simulazione matematica della circolazione atmosferica. Immettendo i dati in un calcolatore a valvole che oggi guarderemmo come un pezzo di archeologia informatica, egli si accorse che se, per risparmiare tempo e spazio, arrotondava alcune cifre decimali, otteneva risultati completamente diversi da quelli che il computer forniva usando numeri completi.

Ciò era contrario al comune intuito che sanciva come a piccole cause corrispondano piccoli effetti. Andando poi a prendere un caffè mentre aspettava il responso del computer, Lorenz aveva coniato il concetto di "elevata sensibilità alle condizioni iniziali", o "effetto farfalla", dall'aforisma che pronunciò molti anni dopo, nel 1979, all'American Association for the Advancement of Sciences: "Può il battito delle ali di una farfalla in Brasile scatenare un tornado in Texas?" La portata di questa domanda è fenomenale, e ovviamente è stata supportata da lui con solide argomentazioni matematiche nonchè appunto sperimentali, in tempi lontanissimi dalla microelettronica digitale.

Brevemente un sistema fisico si definisce caotico se sono verificate le senguenti tre condizioni:


- Sensibilità alle condizioni iniziali, ovvero a variazioni infinitesime delle condizioni al contorno (o, genericamente, degli ingressi) corrispondono variazioni finite in uscita.

- Imprevedibilità, cioè non si può prevedere la risposta del sistema in anticipo.

- Il sistema non evolve verso l'infinito per nessuna variabile.


Edward Norton Lorenz dovette attendere quasi vent'anni perché altri ricercatori cogliessero la portata di questa scoperta aprendo la strada alla scienza del caos. L'effetto farfalla non agisce solo sull'atmosfera, impedendo di fare previsioni attendibili oltre i dieci giorni a causa dei piccoli errori iniziali che si amplificano; è infatti uno dei modi con cui funziona la natura, e pure noi stessi.

Ovviamente la teoria del caos è tutt'altro che una teoria distruttiva che impedisce alla scienza di fornire un modello matematico adeguato per tali fenomeni fisici, anzi proprio tale teoria permette ora di prevedere come funzionano molti sistemi naturali, con la consapevolezza matematica che il caos se pur non ci lascia prevedere perfettamente il futuro, generando sorprese e biforcazioni nette, ma se noto si può dominare, gli si può attribuire il giusto peso.

Si può cioè venire a patti tra bontà della soluzione fornita dal modello, le ipotesi fatte ed il "caos" inevitabile. Questo è ciò che Lorenz ha fatto, e sulla sua scoperta, frutto inatteso di un computer lento e primitivo, si basano oggi i bollettini meteo, le simulazioni dell'andamento delle borse, dei comportamenti delle cellule in un organismo vivente, del flusso di sangue in un vaso sanguigno.

E' straordinario come la teoria del caos ed il neologismo "Effetto Farfalla" siano poi entrati nell'immaginario collettivo, tanto da essere addirittura spunto per numerosi film di cui cito ad esempio "Jurassic Park" del 1993 diretto da Steven Spielberg.


Ilario Ferrari

venerdì 18 aprile 2008

Il Drago Jena ( Dracon Ridens)

I mio ultimo rifacimento del drago.

Già nelle storie precedenti il ciclo bretone della letteratura anglosassone , veniva citata la lotta di due draghi , gli stessi che nella leggenda il mago Merlino , molti anni dopo scorse imprigionati sotto le fondamenta del castello di Vortigern, un'ala del quale crollava sempre a causa della presenza di queste creature.

Proprio prima di essere imprigionati questi due draghi , per simbologia uno rosso e l'altro bianco, si contravano in una lotta annuale che non avrebbe mai coinvolto gli abitanti del regno vicino se non fosse per un particolare, il grido di guerra del drago rosso.

A causa di quel grido, secondo la leggenda, che durava settimane intere, le donne abortivano , alcuni impazzivano , le galline smettevano di produrre uova e le mucche non producevano più latte , le stesse piante sembravano avvizzire , condannando così la popolazione alla fame.

Nella mia immaginazione bambinesca fui così colpito dalla storia del grido del drago rosso, che volli immaginare quel drago come appartenente ad una specifica razza di drago ,e quindi ecco spiegata l'ispirazione per la realizzazione del Drago Jena.

Forse qualcuno si chiederà come mai questo è il primo drago da me presentato che reca in parentesi anche una sottospecie di nome scientifico:la risposta è semplice , dal momento che quel nome è stato apposto solo dopo aver colmato la mia ignoranza puerile ed aver scoperto che forse non tutti nell'Europa medioevale , quando immaginavo fosse sorto questo drago,potevano conoscere la parola jena .

Nonostante possa sembrare di nole massiccia e grande non lo avevo immaginato un grande drago e ,proprio per questa caratteristica avevo ideato ,pensando all'ispirazione ricevuta dal racconto bretone, una sua peculiarità:un grido gutturale acutissimo che stordiva prede e nemici e grazie al quale era ingrado di uccidere le prime e fuggire i secondi.

















Il penultimo rifacimento del Drago Jena(sopra) e il suo primissimo bozzetto(a destra)












Per quanto riguarda i tratti della creatura e in generale le caratteristiche del suo aspetto , posso dire che questo è il drago disegnato da me al quale sono più affezionato , perchè dovete sapere che fu il primo drago in assoluto di Monsters,la mia piccola enciclopedia illustrata di mostri mitici e leggendari , arricchita da quelli partoriti dalla mia immaginazione.

E parlando di immaginazione possiamo dire che il drago Jena fu veramente quello in cui io mi sbizzarrii nel trovare quante più caratteristiche apporvi, dalle protuberanze ossee sul dorso e sotto la mascella alle corna disposte in modo particolare, dall'aspetto degli occhi a quello della conformazione mascellare, in poche parole grazie al ciclo bretone ebbi l'ispirazione , ma la mia immaginazione ha voluto la supremazia nel tracciare questa creatura.

Storia riadattata del Drago Jena tratta dal quaderno di "Monsters".

"Vi sono alcune incertezze sull'origine del Drago Jena.Infatti il suo sorgere , esattamente in corrispondenza con l'inizio della rovina della razza Claisthros , ha fatto presupporre che questa creatura non fosse altro che una possibile forma assunta da quella razza , per la propria sopravvivenza. Verrebbe così spiegata anche l'estinzione della stessa razza del Drago jena , qvvenuta per una moria in credibile di esemplari , conseguenza forse di uno sforzo a sopravvivere perpetrato troppo a lungo.
Era un drago conosciuto per la sua incredibile ferocia e venne più volte avvistato in diverse zone del mondo , scambiato molte volte con la Viverna , per il gusto di uccidere le sue vittime,evidente nelle sue azioni.
Anche se aveva la capacità di emettere un respiro bruciante come il fuoco, la sua arma principale , sia nella caccia sia nella difesa era il suo urlo gutturale.
Era un urlo acutissimo che assomogliava in qualche modo al verso delle jene, alla loro risata demoniaca , grazie al quale stordiva le proprie vittime e le uccideva senza esitazione.
A differenza del Claisthros , suo probabile progenitore il Drago Jena cacciava in gruppo e utilizzava tattiche di predazione, degne di un branco di leoni.
Il motivo di questa solidarietà risiede nel fatto che non era un drago particolarmente grande , gli esemplari più grandi misuravano appena quattro metri di lunghezza e poco più di due in altezza, altro motivo che fa pensare alla sua possibile provenienza genetica."

Passando alla parte tecnica della rappresentzione , ancora una volta devo dire di non aver usato alcun effetto particolare , l'unico è quello del fumo che fuoriesce dal vulcano e che si chiama "clouds"(nuvole) perfetto per dare effetti quale il fumo o il fuoco ardente .

Daniele Tartaglia

giovedì 17 aprile 2008

Lo sviluppo nella tecnologia

La mistura nel nuovo pianoforte Yamaha

Un concetto cardine dello sviluppo delle tecniche riemerge ad ogni nuovo strumento, ponendo limiti e concentrando la possibilità dello sviluppo verso un cammino spesso a ritroso, mai sicuro di avere tra le mani la tecnologia che chiude il ciclo passato.

Nelle tecniche il passato non è un senso inverso, un punto da rimirare girandosi indietro e, al di là della ricerca verso nuove applicazioni, la storia della tecnologia non può svolgersi se non utilizzando al meglio il concetto stesso di storia come passaggio non lineare, fatto di scarti e slanci, in un lavoro di scavo logico e sensibile che difficilmente si può comprendere nel catalogo cronologico.

Una categoria che spesso prende il nome di sviluppo tecnologico è quella della "mistura", della multiapplicazione simultanea, molto vicina però ad una giustapposizione che non ad una composizione armoniosa di vari servizi.

L'utilità è ormai uno dei cardini del cosidetto sviluppo tecnologico, rientra nei fondamenti del verbo "sviluppare" e del fine cui tendere in un processo di strutturazione del bisogno corporeo. La mistura di più utilità, all'interno di un solo contenitore, è uno degli esempi dei nuovi prodotti in commercio.

Ultimamente è ritornata di moda la concezione del player piano, del pianino meccanico, primo passo verso la rivoluzione della popular music e della industria di distribuzione musicale. Il suonare e l'ascoltare da lontano, vedendo la fonte muoversi come un automa grazie a rulli perforati, reppresentava un nuovo ritmo della fruizione musicale nel suo mescolarsi con il "machinato".



Il passaggio allo strumento musicale che elabora un serie di segnali e li riproduce, comprendendo in questo sia il proprio suono (il pianoforte) che tutta una serie di formati, campioni di altri strumenti, parti orchestrali e vocali, segna l'ultima frontiera del mercato del software per la produzione sonora.

Il player piano, passando per la radio, per la diffusione dell'ascolto pubblico e privato, l'ascolto in macchina, l'ascolto intessuto nell'abito con i lettori mp3, sviluppano varie tecnologie e rappresentano in sé delle applicazioni accessorie di un particolare modello come può essere quello meccanico, elettromagnetico, digitale.

Ma in più condividono il desiderio per le forme, la predilezione di una fruizione completa dei sensi. Non solo una tecnica ma anche la sua storia rientra nell'utilizzo di un prodotto, nella resistenza a non incorporare segni e simboli di una passata tecnologia, a farli rientrare tutti o alcuni di essi all'interno del prodotto "nuovo", dell'estetica del "nuovo".

Così avviene che il nuovo pianoforte della Yamaha, il Disklavier Mark IV, sia un concentrato di tutta la tecnologia della produzione e riproduzione musicale, della tecnica di costruzione dello strumento, dell'ascolto digitale o analogico dello stesso, ma anche della fruizione di qualcosa di accessorio ma ormai complessivamente associabile all'estetica dell'ascolto: internet e il touch screen.


La curiosità di certi esperimenti, tipici nella transizione tra vecchie e nuove tecnologie, è la tensione che si instaura tra il desiderio e la nostalgia, tra l'avere nello stesso prodotto entrambi i modelli analogico e digitale, come anche la possibilità di fondere tra i due la tecnologia che aveva rimosso in certo qual modo la sfida, il termine neutro che riusciva a processera il suono e a vincere la separazione tra le due fonti: il software musicale.

Il desiderio di Internet, inoltre, è il desiderio della simultaneità dello spazio e del tempo, quella di avere a disposizione una banca dati aggiornabile in ogni istante e da qualunque localizzazione.

Ecco perché l'unione e la mistura sono uno dei capitoli più affascinanti dal punto di vista della percezione sensoriale nello suo sviluppo storico di una produzione tecnologica.

"You can also buy songs à la carte. The Yamaha store is something like the iTunes store, complete with a 30-second preview of each song. The difference is that in this case, the previews (and the songs) are played live by a friendly ghost on the piano right next to you." Nyt

sabato 12 aprile 2008

Protesi acustiche

(Seconda parte)

Vince il digitale

Una protesi si può schematizzare in prima approssimazione come un “microfono” ovvero un dispositivo in grado di captare un segnale acustico e convertirlo in forma elettrica, ma perchè c’è bisogno di tale conversione?

Il senso è quello di poter adattare il segnale sonoro alle caratteristiche quantitative, qualitative e temporali dell’ipoacusia che si va a curare.

Parametri come amplificazione, capacità di limitare il segnale e di modificare la dinamica di applicazione, ampiezza della banda passante e possibilità di filtraggio, rappresentano i criteri fondamentali che consentono di valutare il comportamento elettroacustico di una protesi ed individuarne il campo di applicazione, consentendo di fare una classificazione.

Una protesi acustica dunque è un vero e proprio elaboratore del segnale che realizza il processo di analisi e trasformazione dei suoni secondo tre tipi di strategie:

· Analogica semplice;
· Analogica mista, detta anche analogica digitale o ibrida (protesi programmabili
elettronicamente);
· Analogica prevalentemente digitale che permette di effettuare, oltre ad una
regolazione elettronica, anche un’elaborazione del segnale.

Qualsiasi sia il tipo di strategia, l’energia sonora viene trasformata in elettrica dal microfono.

Una volta trasdotta, tale energia raggiunge l’amplificatore al cui livello subisce i processi di amplificazione, filtraggio, e limitazione.

Il segnale elettrico in uscita dall’amplificatore e così elaborato, è inviato al terzo e ultimo stadio, il ricevitore, dove viene nuovamente convertito in energia sonora.

Si comprende come le componenti circuitali di protesi acustiche non siano poi cosi dissimili da quelle utilizzate nelle sale di incisione per l’elaborazione dei segnali. Come ho detto spesso la matematica che governa i fenomeni è del tutto generale consentendo poi le più svariate applicazioni tecnologiche.

Nelle protesi con trattamento digitale, l’onda sonora viene trasformata dal microfono in analogo elettrico dell’input, un primo stadio di filtraggio passa basso elimina le componenti frequenziali che si pongono al di sopra del campo di udibilità.

Il segnale viene quindi digitalizzato dal convertitore analogico-digitale secondo un’alta frequenza di campionamento, che trasforma la grandezza elettrica analogica in una serie di numeri di tipo binario.

L’unità centrale di elaborazione è un microprocessore che modifica i dati numerici secondo gli algoritmi previsti dalla strategia di programmazione implementata.

Il flusso di dati numerici elaborati viene trasformato dal convertitore digitale analogico in stimolo elettrico che successivamente ad una nuova operazione di filtraggi passa basso viene trasdotto in segnale acustico.

Le protesi digitali dunque, elaborano attivamente il segnale, comportandosi come uno speech processor.

La domanda ora può sorgere spontanea:digitale o analogico?.

Senza alcun ombra di dubbio in ogni applicazione in cui si deve riprodurre una funzionalità naturale nel modo più accurato possibile, l’elaborazione digitale è sempre da preferirsi per vari motivi:

- Da un punto di vista teorico perchè meno soggetta ad errori;
- Da un punto di vista economico in quanto di costo inferiore a parità di prestazioni;
- Spazio occupato nell’orecchio notevolmente ridotto e riducibile, cosa non indifferente dal punto di vista di un portatore di protesi.

Nonostante gli strumenti di base che si utilizzano per la progettazione di protesi acustiche e di schede di elaborazione audio siano simili, differenti scopi portano differenti scelte di progettazione e differenti risultati, basti pensare infatti come nella musica si ricerchi spesso la teconlogia analogica ed addirittura a valvole.

Si sente spesso dire che “La valvola da più calore al suono”.

La tecnologia delle valvole in elettronica, o meglio in tutta l’elettronica dei giorni nostri che non riguarda la musica è stata abbandonata dagli anni 50 circa, allora è vero o no che le valvole generano un suono migliore?

Nonostante la preferenza delle valvole in musica non sia quasi mai supportata da una conoscenza tecnica, quell’affermazione è vera.

In musica ciò che conta a differenza del caso di progettazione di un dispositivo tecnico è riuscire quanto più possibile ad emozionare l’ascoltatore, tale emozione è dovuta all’ascolto di determinate componenti spettrali piuttosto che altre ed evidentemente le valvole enfatizzano certe frequenze gradevoli all’orecchio e perciò spesso sono preferibili alla microelettronica basata sull’uso di transistor.

venerdì 11 aprile 2008

Dalì. Quando eversione ed eccentricità si incontrano.

Salvador Dalì in una delle sue pose pittoresche .

Salvador Domingo Jacinto Dalì Domènech ,nasce a Figueras, nella provincia catalana di Gerona , nel 1904.Suo padre Salvador Dalì y Cusì era un notaio di Cadaquès e oltre ad un carattere ruvido e severo possedeva anche una ricca biblioteca, nella quale il piccolo Dalì comincia a scoprire le sue passioni letterarie e filosofiche.

Ma nelle estati trascorse a Cadaquès il piccolo Salvador si rende conto di quanto la sua vita sia consacrata all'arte figurativa , popolata di figure surreali che partorisce la sua immaginazione fanciullesca; infatti è molto bravo nel disegno , tanto da colpire anche la famiglia Pichot, una famiglia di artisti molto vicina alla sua .

Viene ammesso, nel 1921, all'Accademia di arte di S.Fernando a Madrid , dove stringe amicizia con Luis Brunuel e Federico Garcia Lorca. Produsse alcuni ritratti di sua sorella Anna Maria, sperimentando vari stili che all'epoca erano usati in pittura , essendo influenzato da Cubismo e dal Surrealismo.

Rimane in accademia fino al 1926 , anno in cui fu definitivamente espulso per diverbi accesi con i suoi docenti e anno in cui compì il suo primo viaggio a Parigi , dove fece la conoscenza di Pablo Picasso.

Tre anni dopo collabora con l'amico Brunuel per il film "Un chien andalou"(1929),e nello stesso anno di proiezione della pellicola, Salvador fa la conoscenza di alcuni artisti del panorama artistico surreale ,tra i quali il poeta Eluard e sua moglie Gala , la quale affascinò sì tanto il giovane Dalì, che arrivò a sedurla e a farne al sua musa ispiratrice e compagna per il resto della vita.

Nel 1934 espone la sua prima mostra personale a New York, la quale per altro riscuote un discreto successo, successo dovuto anche al suo ormai sviluppato metodo paranoico-critico e al suo primo scontro con il mondo del Surrealismo.

Nel 1938 infatti partecipa alla mostra internazionale dei surrealisti a Parigi, ma nell'anno successivo attua il suo distacco completo dal movimento surreale, andando a New york con Gala e rimanendovi fino al 1948 , quando fa ritorno in Europa.

Dopo aver collaborato come scenografo con Visconti e Brook, nel 1951 inaugura con la pubblicazione del "Manifesto mistico" il suo periodo detto corpuscolare, e negli anni seguenti afferma sempre di più il suo genio e la sua popolarità cresce.

Nel 1968 espone le sue opere stereoscopiche e nel 1969 realizza il celebre logo dell'industria dolciaria Chupa-Chups, mentre solo dieci anni dopo viene nominato membro dell'Academie des Beaux-Arts di Parigi.

Nel 1983 , un anno dopo la morte della sua amata Gala ,dipinge il suo ultimo quadro "La coda di rondine ", infatti nel 1984 riporta gravi ustioni a causa dell'incendio della sua camera da letto nel castello di Pubol , sua residenza degli ultimi anni di vita .

a causa dell'incendio si trasferisce nella torre Galatea del castello dove un colpo apoplettico ,nel 1989 , porta via l'artista che con le sue ultime volontà lascia allo stato Spagnolo tutte le sue opere e le sue proprietà.




Salvador Dalì - Gli orologi molli: la persistenza della memoria(1931)

Salvador Dalì - La coda di rondine ( 1984)

Per quanto riguarda lo stile usato da questo eccentrico e geniale artista possiamo osservare che, nonstante molte volte si sia scontrato con il movimento del Surrealismi e nonostante , negli ultimi anni della sua vita , se ne sia completamente distaccato ,la sua arte viene sempre contaminata da elementi tipici delle opere dei surrealisti.

Per quanto riguarda le sue opere giovanili , possiamo osservare come la sua tecnica soa volta alla sperimentazione artistica , non per nulla ale prime opere del giovane Dalì vengono considerate come una crasi tra cubismo e surrealismo , generi che ha sperimentato entrambi prediligendo il secondo .

Per le opere del Dalì adulto invece il discorso è leggermente diverso ; ormai lo stile è inquadrato e , nonostante le escursioni personali nello stile del pittore , si riconosce nel Surrealismo la compagine artistica a cui il pittore appartiene.

Nelle opere del Dalì ormai sul calare della propria esistenza, notiamo invece un parziale distacco dal Surrealismo ormai impregnato di tematiche che rimandano allo stile classico, in un tono più rilassato e studiato di fare arte , la realizzazione del genio ultimo di un artista che chiude la sua carriera con opere che non sono monumentali , ma che brillano di uguale profondità.

Daniele Tartaglia

martedì 8 aprile 2008

Un martedì storico

“Inserire la spina”: tecnologia e popular music, di Paul Théberge

(prima parte)

Ogni discussione sul ruolo della tecnologia nella popular music dovrebbe iniziare con una semplice premessa: senza la tecnologia elettronica la popular music è impensabile nel ventesimo secolo. Come punto di partenza, una tale premessa richiede che si sviluppi una conoscenza della tecnologia musica piuttosto che una collezione casuale di strumenti, registrazioni e dispositivi di riproduzione. La tecnologia è anche un ambiente in cui si fa esperienza e si riflette in materia musicale, cioè un insieme di pratiche dedicate alla produzione e all’ascolto del suono musicale, oltre ad essere un elemento utile nel condividere e valutare le nostre esperienze, in modo tale da definire che cosa la musica è e può essere. In questo senso, l’insieme dei dispositivi elettronici utilizzati per produrre, distribuire e conoscere la musica contemporanea non sono solo un “mezzo” attraverso cui facciamo esperienza musicale. La tecnologia è diventata un “modo” di produzione e consumazione musicale, cioè una pre-condizione per il mercato musicale, un elemento fondamentale nella definizione del suono e degli stili, un catalizzatore dei cambiamenti musicali. Ad ogni modo, la tecnologia non determina semplicemente il mercato musicale. Gli artisti pop ed i consumatori hanno spesso usato la tecnologia in modi non voluti da quelli che l’hanno sviluppata. In questo modo, le pratiche pop ridefiniscono costantemente la tecnologia musicale tramite usi alternativi ed inaspettati.

Questo saggio presenta un visione generale di molte parallele, eppure interconnesse, evoluzioni nella tecnologia musicale: lo sviluppo e la continua importanza delle tecnologia elettromagnetica; l’evoluzione delle tecnologie e delle tecniche di registrazione in studio; la nascita di nuove tecnologie per strumenti musicali; l’evoluzione dei dispositivi e dei formati di consumo musicale, incluse le recenti innovazioni digitali per la distribuzione musicale in Internet. La breve rassegna di strumenti, dispositivi di riproduzione e formati presentati qui verrà considerata come un’ indagine all’interno dei concetti musicali, delle tecniche, dei valori sociali ed estetici tanto quanto una storia della tecnologia “per se”. A questo proposito è necessario riconoscere in primo luogo che i conflitti nell’estetica e nei valori musicali hanno accompagnato virtualmente ogni sviluppo della tecnologia musicale, e in secondo luogo che le possibilità offerte dalle nuove tecnologie non sono mai sfruttate allo stesso modo né persino accettate in ogni sfera del mercato musicale. Perciò, i differenti usi della tecnologia riflettono differenti priorità estetiche e culturali.

Gli specifici usi, abusi o l’esplicito rigetto di varie tecnologie sono poi strumenti che definiscono un particolare “suono”- una estetica pop- e contribuiscono al senso della “distinzione” tra i generi della popular music.

Tecnologie fondamentali

Dalla seconda metà del ventesimo secolo, le tecnologie della riproduzione e registrazione del suono e le industrie a loro associate, erano già solidamente stabilizzate ed erano divenute una componente centrale di tutte le culture musicali dell’Occidente e sempre più del mondo intero.

Ma il vasto assortimento di dispositivi tecnici che veniva utilizzato nella popular music dopo la Seconda Guerra Mondiale e l’intensità del dibattito economico ed estetico che spesso circondava la loro introduzione, tendevano a mascherare l’importanza ancora continua di un numero di altri dispositivi, tecnologie ancillari sviluppatesi nei primi anni del ventesimo secolo.

In modo specifico, il microfono, l’amplificazione elettrica e gli altoparlanti devono essere considerati come assolutamente fondamentali per la musica popolare contemporanea. Il loro carattere è per ironia messo in evidenza dal grado per il quale divengono “naturalizzate” e i loro effetti resi invisibili a noi. Persino nell’era digitale, queste tecnologie rimangono il punto di inizio e di fine per ogni virtuale atto di produzione o riproduzione musicale, e di conseguenza smentiscono l’idea stessa che la musica popolare sia “unplugged”. L’estetica dell’ “alta fedeltà” ha rinforzato l’idea che microfoni, amplificatori e altoparlanti siano delle tecnologie “riproduttive”, che siano, tramite il loro design, trasparenti nelle loro riproduzioni. Comunque, una tale ideologia serve solo a cancellare l’impatto che quelle tecnologie continuano ad avere nella nostra esperienza musicale, persino nel ventesimo secolo.

Curiosamente, furono sviluppate inizialmente né all’interno né per le industrie di registrazione. I microfoni, per esempio, furono inizialmente prodotti per l’industria telefonica e radio, mentre solo successivamente furono adottati per l’utilizzo nella registrazione musicale e nella produzione cinematografica. Durante gli anni ’20, l’industria delle registrazioni esitava nell’adottare metodi elettrici di registrazione per proteggere i larghi investimenti già fatti per produzione e accumulo di registrazioni acustiche. Il microfono in breve tempo aveva dato prova, in congiunzione con l’amplificazione elettrica, di essere più potente nell’abilità di rendere le sottigliezze della voce umana e degli strumenti rispetto ai metodi acustici, cosicché l’industria fu forzata a convertirsi all’elettricità per competere con il nuovo mezzo, la radio.

L’impatto del microfono sullo stile musicale fu sia lieve che profondo: per esempio, il contrabbasso poteva essere ascoltato chiaramente per la prima volta nelle registrazioni jazz, in modo da rimpiazzare la tuba che veniva spesso utilizzata nelle vecchie registrazioni. Ancora più importante, un nuovo ed intimo stile di canto, conosciuto come “crooning”, si evolse in risposta all’introduzione del microfono nella popular music, provocando immediate controversie. Come Simon Frith ha sottolineato, i crooners erano visti dai primi critici come effeminati e il loro stile vocale come, sia tecnicamente che emozionalmente, “disonesto”.

Malgrado tali critiche, ciò che era diventato chiaro per i primi crooners, consisteva non solo nel cantare ma anche nello sviluppare una tecnica adeguata al microfono. Nessuno performer del periodo sembra aver realizzato ciò meglio di Bing Crosby, che esplorò le possibilità offerte dal microfono per meravigliosi effetti: la sua voce baritonale più “mascolina” e “robusta” non solo differiva dagli stili vocali adottati da tutti i primi crooners, ma il suo registro basso era anche particolarmente aumentato dal microfono, attraverso il fenomeno fisico conosciuto come “proximity effect”.

In questo senso, sebbene i performer pop cantassero per un pubblico, reale o immaginario, loro lo facevano sempre prima e principalmente al microfono. In compenso, questo strumento rivela, negli intimi dettagli, ogni sfumatura dello stile vocale. Ma non in modo trasparente: ogni microfono ha le sue proprie caratteristiche e colora il suono in lievi eppure inconfondibili modi. I performer erano diventati particolarmente sensibili alle maniere con cui il microfono poteva imbellire la voce e persino i musicisti che pubblicamente denunciavano gli eccessi degli strumenti moderni e le tecnologie di registrazione, potevano essere scoperti nelle interviste a tessere lodi sull’abilità di certi microfoni di procurare “calore” alle performance vocali.

Come ascoltatori, la nostra esperienza delle “venature” della voce nella popular music ( per non menzionare la nostra nozione di come una chitarra acustica o un altro tradizionale strumento “dovrebbe” suonare) è stata sottilmente influenzata dall’intercessione del microfono. Il piacere dei sensi che ci deriva dall’ascoltare i suoni prodotti da pop performer- dagli ironici e colloquiali toni di Brad Roberts (Crash Test Dummies), alle esagerate ballad di Céline Dion o Whitney Houston, alle grida strazianti di Axl Rose- , il piacere ha essenzialmente un carattere erotico e viene prodotto ancora di più dallo straordinario senso della “presenza” (un termine estetico, metaforico e quasi tecnico, usato degli ingegneri del suono), che il microfono permette.

Nei concerti e nelle registrazioni dei nostri giorni il microfono non è mai una singola tecnologia, ma è sempre plurale. Infatti l’evoluzione delle tecniche multi-microfoniche sono state centrali per lo sviluppo della popular music, durante l’avvento, alla metà del secolo scorso, del rock’n’roll. Prima di questo periodo, non era usuale trovare più di una manciata di microfoni usati in performance live o in studio. Ma innovativi ingegneri e produttori, alla ricerca di un nuovo “suono” per la musica emergente, iniziarono a sperimentare con i microfoni e il loro posizionamento: alla Atlantic per esempio, “ Tommy (Dowd) fece delle cose rivoluzionarie, come microfonare il basso e la batteria. Nessuno usava a quei tempi microfonare la batteria (1950)…poi iniziò ad usare microfoni multipli. Imparammo tutti i vantaggi del remixing e dello sweetening” (Jerry Wexler, produttore). In questo modo gli ingegneri gradualmente si assunsero molte responsabilità per ottenere un bilanciamento musicale di tutti i suoni delle prime registrazioni, e successivamente dei concerti. Gli esperimenti con la tecnica multipla, che richiedevano una posizionamento selettivo e l’isolamento del suono degli strumenti, rappresentò uno dei primi passi per la creazione del moderno studio multitraccia e continua ad essere un fattore essenziale nella produzione di un suono trasparente e nella separazione degli strumenti, caratteristica della maggior parte della musica di oggi.

I microfoni (e le relative tecnologie elettromagnetiche, come pickups e puntine del giradischi) potrebbero comunque essere inutili senza l’abilità di amplificare elettricamente il segnale che producono. Lo sviluppo dell’ “Audio Tube”, ad opera di Lee DeFoster nel 1904, mise le basi per l’amplificazione, trasmissioni radio e altre tecnologie elettriche del primo novecento. Ma dal 1950 l’amplificazione è diventata molto più di una necessità tecnica, ossia un cruciale elemento nell’evoluzione del suono della popular music, in particolare del rock. Fin da principio, il rock’n’roll si stabilì come rumoroso, musica rauca in forza della sua enfasi nell’amplificazione delle chitarre elettriche e, nella decade che seguì, il rock divenne sinonimo sia di volume che di distorsione. Quando un amplificatore è spinto oltre le sue normali capacità, le componenti elettroniche diventano “overdriven”, risultando un suono più abbagliante, ricco di contenuti armonici non collegati alla fonte originaria del suono. Rob Walzer ha sostenuto che il suono delle chitarre distorte è diventato un segnale uditivo chiave per l’heavy metale e per l’hard rock, un importante significato di potenza ed intensa emozione nella musica.

Persino quando gli amplificatori a valvole non sono overdriven, comunque hanno un suono distinto, valutato da molti musicisti ed ingegneri come difficile da riprodurre tramite altri mezzi. A questo riguardo, non c’è forse più curioso esempio del fatto che la produzione di popular music è essenzialmente un progetto estetico, non semplicemente tecnico, della sopravvivenza della tecnologia a valvole. Decadi dopo l’introduzione dei transistor allo stato solido e, più recentemente, dei circuiti digitali, i tubi a vuoto rimangono una tecnologia attuabile. Per tutti gli anni novanta e nel nostro secolo, i produttori di accessori hanno fatto un enorme business nella produzione di preaplificatori per microfoni con tecnologia a valvole, amplificatori per chitarre, compressori e altri processori di segnale. Allo stesso modo, nel momento in cui i computer hanno aumentato la loro importanza nella produzione musicale, i programmi provano a simulare particolari distorsioni, buzz e “warmth” della tecnologia a valvole, per approfittare della prevalente estetica “retro” nei vari generi di pop music.

E’ comunque in combinazione con gli altoparlanti che l’amplificazione da il suo significativo contributo alla cultura musicale popolare. Dalla sua introduzione durante il 1950, l’amplificazione tramite circuiti a transitor si è prestata sia al potere economico che alla miniaturizzazione, rendendo possibile soddisfare da un lato la richiesta di luoghi pubblici, come dance club e stadi, dall’altro il più intimo spazio di una automobile, radio a transitor portabili e Sony Walkmans. La parola “power” si definisce ancora come descrizione di un fenomeno fisico e di un valore culturale: poiché è solo attraverso l’applicazione dell’amplificazione elettrica agli altoparlanti (o alle cuffie) che siamo capaci di investire sia uno spazio pubblico che privato di una intensità musicale senza precedenti nella storia culturale. Si potrebbe sostenere che nessun altra tecnologia affetta la nostra esperienza soggettiva della popolar music più di quella rappresentata dagli altoparlanti amplificati: l’intensità del rock o il rimbombante basso dell’hip-hop sono suoni che possono essere solo prodotti e sperimentati con mezzi tecnologici. Gli ingegneri da studio riconoscono l’importanza degli altoparlanti nella consumazione musicale e abitualmente utilizzano due o tre differenti speaker systems nel tentativo di approssimare gli effetti di differenti condizioni di ascolto su un dato mix.

Gli altoparlanti furono inizialmente introdotti nella radio e nei discorsi pubblici durante gli anni ’20 del secolo scorso, ma il loro sviluppo più significativo avvenne nei primi anni del cinema sonoro. Uno dei nomi più rispettati nell’industria audio, come J.B.Lansing, iniziò la sua carriera sviluppando speaker systems per film teatrali durante gli anni ‘30 e solo dopo indirizzò i suoi sforzi per soddisfare i bisogni di studi di registrazione, stage performance, e home listening. Fu negli anni ’60 che la popular music iniziò a richiedere una speciale tecnologia per gli altoparlanti. Quando pop bands come i Beatles o i Who, giravano sempre più in luoghi pubblici come gli stadi, i loro primitivi amplificatori per chitarra e PA systems erano inadeguati. I produttori risposero a quelle nuove richieste creando sempre più potenti sound systems e in tal modo produssero le infrastrutture tecniche delle moderne performance live. Ancora più importante, gli amplificatori e gli altoparlanti divennero parte di una complessa tecnologia sociale: facilitavano la venuta insieme di una sempre più larga massa per la popular music, supportando sia i bisogni dei fans che quelli dell’industria musicale in espansione.

Come abbiamo notato sopra, l’intensità nella rock music era solo in parte dettata dalla necessità, dato che rappresenta anche una componente fondamentale nell’evoluzione dell’estetica del rock. E come nel caso degli amplificatori distorti, i musicisti rock impararono anche che gli altoparlanti, come fonte sonora funzionale, potevano essere utilizzati a fini musicali. Quando un microfono o un pickup di una chitarra veniva posto in prossimità di un altoparlante amplificato e molto alto di volume, occorreva il fenomeno conosciuto come “feedback”. I chitarristi rock, come Jimi Hendrix, sapevano di suonare per i loro altoparlanti amplificati, strappando un nuovo suono da loro e facendone una vera estensione dei loro strumenti musicali.

All’inizio del rock guitar-based, gli altoparlanti dovevano anche essere considerati come centrali per l’esperienza di una serie di generi musicali pop, dal reggae all’intera gamma di generi associata alla moderna dance music. Dai primi reggae “sound system- o discoteche mobili- ai dance club, ai rave party, una grande importanza è stata data all’abilità degli amplificatori e agli altoparlanti per produrre un artificiale rimbombo, o intenso suono basso. I subsonic speaker system creano toni che sono sentiti tanto quanto sono uditi, supportando quindi il movimento dei ballerini tanto quanto la musica stessa. Di conseguenza, l’enfasi esagerata sulle basse frequenze che troviamo in vari generi della musica Afro-Americana, come l’hip-hop e il rap, viene ad essere percepita dai fans e dai commentatori pop come il marchio non solo di un genere musicale ma di una identità culturale.

Certamente i microfoni, gli amplificatori e gli altoparlanti sono stati importanti virtualmente per tutta la musica registrata: classica, folk, jazz e popolare. Ma è solo nella popolur music e nel rock che quelle tecnologie possono essere viste come veramente essenziali sia per l’espressione musicale che per l’esperienza.

(fine prima parte)

Traduzione a cura di D.D.C

domenica 6 aprile 2008

Vignetta della domenica.

Ricordo , a scanso di equivoci, che i commenti eliminati da me , sono quelli che contengono spam di altri siti ad alto rischio di virus , quindi , per coloro che hanno commentato seriamente , un ringraziamento profondo , per coloro che approfittano del commetario per biechi fini un invito a non commentare nessun post del MATblog.Grazie.

Daniele Tartaglia

sabato 5 aprile 2008

Protesi acustiche

(prima parte)


La sordità come la cecità, è una malattia che riguarda una bassa percentuale della popolazione mondiale, per cui, come spesso accade per ogni minoranza, viene trascurata dalla collettività.

Più una cosa è diversa da noi più la si tiene lontana dal nostro quotidiano pensiero, vuoi in buona fede, vuoi per incomprensione, o per tipico egoismo occidentale.

Per questo motivo volevo porre l’attenzione su questo tipo di patologie, illustrando cosa offre la scienza per affrontare e risolvere i problemi legati all’udito.

Si definisce sordità l'incapacità totale o quasi di udire i suoni. Le statistiche indicano che tra gli adulti, una persona su venti soffre di sordità più o meno grave.

Le forme più gravi sono quelle congenite, o presenti dalla nascita. Infatti, impariamo a parlare proprio perchè possiamo sentire, quindi una grave sordità congenita ostacola seriamente l'apprendimento del linguaggio verbale.

Si distinguono due principali tipi di sordità:

- La sordità di conduzione, o di trasmissione, caratterizzata dal fatto che i suoni non riescono a raggiungere i recettori acustici; Può essere prodotta da malattie e ostruzioni dell'orecchio esterno o dell'orecchio medio;

- La sordità neurosensoriale, dovuta a lesioni dell'orecchio interno, del nervo uditivo ("sordità di percezione"), delle vie uditive centrali ovvero dei centri cerebrali dell'udito ("sordità centrale").

Per ciò che riguarda le possibilità terapeutiche, i problemi a carico dell'orecchio esterno e dell'orecchio medio e che causano sordità possono in molti casi essere efficacemente risolti con trattamenti di tipo chirurgico oltre che (per quanto riguarda la risoluzione della malattia originaria) di tipo medico, con conseguente recupero o miglioramento della stessa funzione uditiva.

La condizione di sordità profonda di tipo neurosensoriale non può, invece, trarre giovamento dagli stessi trattamenti, l'unico rimedio attuale può essere rappresentato dall'applicazione di protesi acustiche.

Illustriamo i più comuni tipi di protesi acustiche:

CIC

Gli apparecchi CIC sono molto piccoli da risultare praticamente invisibile dall’esterno. Possono essere utilizzati solo se il condotto uditivo è sufficientemente ampio. Indicati per perdite uditive medie.

ITC
Gli apparecchi ITC sono appena più grandi dei CIC. Anch’essi vengono inseriti in profondità nel canale e sono molto discreti. Gli apparecchi ITC sono indicati per perdite uditive sino a medio gravi.

BTE
Gli apparecchi BTE si applicano dietro l’orecchio. Il suono viene convogliato nel canale da un raccordo all’interno dell’orecchio. Gli apparecchi BTE sono indicati per tutti i tipi di perdite uditive, in particolare quelle gravi profonde.

venerdì 4 aprile 2008

I maestri del Rinascimento I.Donatello.



Una scultura rappresentante la figura di questo celeberrimo mastro scultore del Rinascimento.

Donato di Niccolò di Betto Bardi , noto come Donatello nacque a Firenze nel 1386.Figlio di un cardatore di lana , la sua famiglia era molto modesta ,ma , nonostante suo padre fosse un rivoluzionario della rivolta dei Ciompi , condannato a morte e poi graziato , si distinse sempre da quest’ultimo ,per il suo portamento signorile e la sua indole serena , la quale gli valse l’appellativo di Donatello .

Nel 1402 parti con Brunelleschi alla volta di Roma , dove i due amici si erano diretti per compiere studi sull’antico, e dove rimasero fino al 1404, quando il nostro artista fece ritorno a Firenze giusto in tempo per essere di aiuto a Lorenzo Ghilberti nei lavori della porta Nord del Battistero di San Giovanni Battista.

Nel 1408 realizzò Il David marmoreo per L’Opera del Duomo di Firenze, opera indice del suo attento studio per la fisionomia e l’anatomia del corpo umano e opera nella quale la torsione del busto e l’appoggio del peso sulla gamba destra indicavano svolte scultoree rivoluzionarie nell’arte dell’epoca.

Sempre per L’Opera del Duomo realizzò San Giovanni Evangelista , che sarebbe poi stato collocato insieme alle figure degli altri tre evangelisti , opera di altri scultori suoi colleghi,dal 1409 al 1411 , quando spostò il proprio lavoro per la chiesa di Orsanmichele , realizzando San Marco.

Nel 1417 terminò il lavori per il San Giorgio commissionato dall'Arte dei Corazzai,quindi si spiega anche la scelta iconografica di rappresentare il santo , patrono dell'ordine equestre e paladino della cristianità con armi e corazza in bella vista , agli occhi dell'osservatore;ma la peculiarità della figura risiede in una postura di tensione e scatto . nella quale la posizione delle gambe, del busto e della testa , rendono l'immagine reasa dalla scultura coma animata .


San Giorgio

Dal 1415 al 1426 lavorò sempre per il duomo , scolpendo ben cinque statue ovvero, Il profeta imberbe , il pofeta barbuto , il sacrificio di Isacco , il profeta Abacuc e il profeta Geremia, monumenti che sarebbero poi andati ad arricchire il campanile e che furono però modellati secondo il modello classico dell'oratore.

Del 1425 è invece il crocifisso ligneo, scolpito per la chiesa di Santa Croce a Firenze, un crocifisso carico di agonia e tensione spadsimante che cattura le sensazioni umane di un dio morente,incarnatosi nel corpo di Cristo.

Dal 1425 al 1427, compì diversi lavori tra i quali ricoriamo la collaborazione con il Michelozzo al monumento funebre dell'antipapa Giovanni XXIII, i pannelli marmorei del monumento funebre dell'allora cardinale Rainaldo Brancacci e infine il rilievo de Il banchetto di Erode e le statue della Fede e della Speranza per il fonte battesimale del Battistero di Siena.

Nel 1430 vide la luce la statua bronzea del David, opera commisionata da Cosimo de' Medici per il cortile della residenza medicea , volta a rappresentare sia l'eroe biblico David ma anche il dio Mercurio che contempla la testa tagliata di Argo.

per la prima volta l'opera si sispira ai canoni dell'arte Ellenistica , ovvero studiata per essere osservata da piu punti di vista e soprattutto la scelta iconografica del corpo nudo emorbido , contro la testa di Golia che esprime tutta la brutalita e la penosità di quest'ultima , quando sconfitta dalla razionalità dell'uomo.



Il David o Mercurio di Donatello , scultura bronzea.


Nel 1443 fu a Padova chiamato dagli eredi del capitano di ventura Erasmo da Narni, detto il Gattamelata, morto nel 1443, per realizzare il monumento equestre del condottiero, morto in quell'anno, nella piazza antistante la Basilica del Santo, in bronzo e completato nel 1450; l'opera, prima di essere iniziata necessitò di un beneplacito concesso dal Senato veneto, poiché l'opera venne concepita come un cenotafio, cioè un monumento funebre per qualcuno sepolto altrove, volto a celebrare la fama del morto. Non si hanno precedenti per questi tipi di monumenti: le statue equestri del Trecento, nessuna in bronzo, sormontavano di solito le tombe; Donatello probabilmente si ispirò ai modelli classici: la statua del Marc'Aurelio a Roma, il Regisole e i Cavalli di San Marco, da cui riprese il modo del cavallo che avanza al passo col muso rivolto verso il basso.

Dopo innumerevoli opere svolte a Padova e che non cito per motivi di spazio giornalistico, rientrò a Firenze nel 1453, anno in cui cominciò a realizzare la Maddalena lignea per il museo dell'Opera del duomo, del periodo che va dal1455 al 1460 è invece il Gruppo Di Giuditta e Oloferne , gruppo scultoreo colmo di significati e interpretazioni agli occhi di critici e profani.

Visse a Siena fino al 1461, e l'ultima opera commissionata dalla città di Firenze furono i due pulpiti bronzei della chiesa di San Lorenzo, ovvero quello detto della Resurrezione e quello detto della Passione,e in questa fu sepolto quando morì nel 1466 , nella città che gli aveva dato i natali.

Daniele Tartaglia

mercoledì 2 aprile 2008

Il disco della settimana

Kiave

7 Respiri ***

(MK Records - Vibra)

Ed ecco anche Mirco Kiave approdare al primo LP solista: ma non si può certo dire che in 15 anni di attività l'MC calabrese sia rimasto colle mani in mano, giungendo più volte all'attenzione dell'underground italiano sia con il precedente EP "Dietro le 5 tracce" sia colle prove coi Migliori Colori, come spalla di Turi e come eccellente freestyler.

Ciò detto, il disco è forte di una serie di ottime produzioni (fra cui il Turi più funkettone, Impro in gran forma, Bassi, Rayden) e featuring (Hyst sempre meno rapper e sempre più soulman, Ghemon, Franco Negré, Ensi e soprattutto un superlativo Clementino) e della indiscutilbile capacità verbale di Kiave, anche se il dichiarato intento di intrattenere con musica intelligente non sembra del tutto raggiunto: se musica e testi sono senz'altro di ottimo livello, il divertimento per l'ascoltatore è limitato a pochi momenti isolati, ed è un peccato perché la solarità dell'uomo Mirco meriterebbe più spazio nella musica del rapper Kiave.

Emanuele Flandoli