mercoledì 2 maggio 2007

Parliamo del male, della tecnologia e del volto umano

Consigli di un giovane ai giovani sulla perdita del senso
(prima parte)

Non voglio risolvere alcun problema, né accresce questioni ma aprire un dibattito nel cuore di tutte le persone che si domandano perché il mondo va in un certo modo e quale sia il nostro compito, ovvero il compito di giovani studiosi attenti ai problemi e mai soddisfatti della prima versione di un evento.

Poiché la materia è lunga e richiede il coraggio di esporsi in maniere totale e perenne voglio inoltrarmi su tre punti fondamentali che dispiegherò nel corso di queste settimane: il male, la tecnologia e il volto umano.

La prima obiezione che mi si può fare è perché scrivo in un blog di mia iniziativa, che tratta ti arte e di scienza, questioni che entrano nel merito di problematiche universali. Fin dal primo articolo che ho scritto ho voluto far notare che il perno centrale delle questioni che girano intorno ad un tale progetto è sì la scienza, ma quella che si interroga sulla sua natura e sui suoi scopi.

Di fronte a questa considerazione di ciò che viene dichiarato scientifico pongo il problema che viene sempre più eliminato dalle questioni scientifiche: la fede, la credenza, la questione della verità e le questioni ultime della conoscenza. Non dico che la scienza le abbia disconosciute, ma anzi che le manovri con così grande facilità da averle superate e deglutite in nome dell’utilità dei suoi mezzi.

Cosa c’entra il male se si può eliminarlo in modo tecnico? Cosa c’entra oltretutto il vuoto e la perdita di senso, se si riduce l’evoluzione del mondo a qualcosa di spiegabile in sé?

Bene, sappiamo tutti che il giovane medio italiano nella maggior parte dei casi non si schiera da nessuna parte, è disincantato, addirittura da alcuni sondaggi che leggo oggi (1 maggio 2007), su Repubblica, è molto labile, sospeso tra più identità, compresso nel gruppo e nella rete di amicizie scolastiche e comitive mutanti, in una sorta di rapporto familiare con l’altro ma senza la vecchia istituzione della famiglia, al di fuori del recinto di casa: poiché è la comitiva la casa o l’identità che man mano viene a costruirsi.

Senza fare moralismi, la mia generazione, quella dei ventenni di oggi, ha in parte virato verso questo fenomeno nuovo e in parte se ne è allontanata, per motivi sia culturali sia per una entrata veloce nel mondo del lavoro. La generazione dei ventenni di oggi ha però le stesse caratteristiche del dinamismo destra-sinistra dei nostri padri, conservatori e rivoluzionari. Quella parte che è stata traghettata verso un nuovo concetto di filiazione tra coetanei ha fatto entrate all’interno di un tale dualismo anche il fenomeno della stasi, dell’assenza di polarità, producendo quello che a ragione si è chiamato“disincanto”.

Era normale che tra una dicotomia delle ideologie forti (sempre però all’interno di una costruzione in molti casi antica di famiglia, in entrambi gli schieramenti) e una assenza di queste si venisse a creare una originale ideologia, che media tra le due e si pone come uno stimolo forte o un impulso alla costruzione dell’ ideale di legalità e pulizia nel mondo, nei fatti, nei confronti della storia e dell’educazione di chi ci conduce in modo becero (nel nostro paese e fuori).

Quello che sto scrivendo da quale ventenne proviene? Di quale mistura voglio impastare il mio quesito e la mia riflessione?

L’indole del mio status è quella dell’osservatore e dello studioso, che ancora crede e vive nell’idea della filiazione familiare antica e nell’idea (mai ideologia) della ricerca di una identità: attenzione, la ricerca non è una poltrona d’oro, non è un lasciapassare per la stasi, ma è una tensione verso alcuni principi che man mano possono anche venir cambiati, ma in nome di una onestà intellettuale e di un pensiero attivo, non come quello di una identità che si dichiara fin dalla sua nascita come passiva ed imperturbabile (uno scetticismo delle tribù e delle comitive nell’adolescente medio oppure un disfattismo alla ricerca delle sue prede, tipico del ventenne che si dichiara non tanto apolitico ma legalmente nella giusta idea di real politic).

Veniamo allora al dunque, al male in primis. I fatti tragici non li vediamo più come un simbolo dell’oscurità, l’uomo moderno e secolarizzato, informato o non, non percepisce più l’attuale come se fosse all’interno di un mondo che contiene il male. Ciò che una volta era peccato oggi è biologia, mancata applicazione di una regola, immagine da scaricare se volete, tecnicismo dell’azione umana, in pratica un evento spiegabile non più per mezzo di una entità che è al di là dell’uomo ma solamente comprensibile attraverso il metro di giudizio dell’uomo isolato nei suoi fenomeni.

Ciò che è più grave inoltre è che il male, in questa sua completa risoluzione, non si pone più come una domanda ma come una risposta alla quale rispondere senza alcun tentennamento. Se il male può essere codificato, essere chiarito in modo efficace, esserne trovate le radici della sua essenza, allora l’uomo può anche estirparlo, sempre in modo tecnico, in nome del piacere, della soddisfazione e del ludibrio, addirittura usufruendo del male stesso come mezzo per mettere da parte il dolore (l’aborto, pillola abortiva, eutanasia, esperimenti su embrioni), quello si il vero volto di ciò che deve essere evitato. Sono un conservatore? Sono un clericale? La mia posizione cerca di guardare nei fatti, facendo una autopsia al progresso e constatare come il problema del male sia sempre in noi avvertibile in ciò che è visibile (perché è dato dall’informazione, dal giornale, dal video) mentre lo escludiamo in ciò che è invisibile o che opera attraverso la lente dell’infallibilità (non quella ex chatedra Petri, ma quella dello scienziato cartesiano ed ateista allo stesso tempo).

“La riflessione filosofica contemporanea considera la reale possibilità del superamento del male. La secolarizzazione ha portato al massimo la convinzione che l’uomo possa vincere il male con le sue conoscenze scientifiche, le sue conquiste tecniche e con la cooperazione internazionale globalizzata” (Angelo Amato, Segretario della congregazione per la Dottrina della fede)

Perché la filosofia contemporanea, nella sua veste di conoscenza più alta, quella discorsiva, quella che si batte tra prove e controprove esclude il problema dell’esistenza del male proprio nei tempi moderni, quando è stata sempre al centro delle discussioni metafisiche, da Leibniz a Paul Ricoeur ?

Dietro questa esclusione ed allo stesso tempo incapacità di dare una pur minima identificazione al male, c’è la stessa preoccupazione che Kant esprimeva per la fine della metafisica nell’epoca della critica dei saperi scientifici. La metafisica era rimasta nell’indifferenza, si era arenata e non riusciva a rinvigorirsi attraverso quel mutamento di metodo che la matematica e la fisica avevano attuato attraverso una chiara distinzione dei loro oggetti e della loro estensione:

“E’ vano infatti fingere indifferenza nei riguardi di indagini del genere, il cui oggetto non può mai essere indifferente alla natura umana. Gli stessi presunti indifferenti, anche se cercano di mimetizzarsi dando un tono popolare al linguaggio di storia, tosto che pensano qualcosa, finiscono inevitabilmente per cadere in quelle affermazioni metafisiche verso cui ostentavano tanto spregio.” (Emanuele Kant, Prefazione alla prima edizione della Critica della ragion pura)

Ma il filosofo di Konigsberg è importante anche perché ha scisso la questione della fede e della ragione, separando i due piani e indirizzandoli verso due tipi ragioni, rispettivamente una pratica ed una pura. Ritorneremo su questo punto per analizzare il rapporto tra fides e ratio, nella possibilità di un loro incontro e non di un loro scontro, in cui il controllo della tecnologia è il sintomo della nostra razionalità più matura e non più oscurantista.

A chi bisogna riferirci per porre i fatti in una luce diversa, per rispondere alla sfida che il male ci rilancia sempre, ad ogni mossa, come se la tentazione del diavolo a Cristo nel deserto fosse una partita che si rinnova sempre, e sembrerebbe non avere fine?

Il mio consiglio è quello di non disprezzare, ma anzi seguire nell’attuale l’insegnamento di qualcosa che sempre più riteniamo come passato e come ridicolo: la morale giudaico-cristiana. Non credo che possa piacere a tutti una cultura secolarizzata che pensa di vivere come se il male non ci fosse. Forse non tutti sono d’accordo sul fatto che oggi la modernità non voglia più convivere con esso ma si sforzi per combatterlo. Personalmente credo di no, e la risposta sta proprio nell’onestà di comprendere il consiglio suddetto come una radice della nostre comprensione dell’attuale.

Una delle campagne più grandi dell’ateismo e dello scientismo che si è diffuso nella secolarizzazione moderna è che l’uomo grazie alla tecnologia possa essere libero di agire secondo la sua propria natura, avendo smascherato chi fosse il vero male che non permetteva all’uomo di poter godere l’esperienza della vita.

La liberazione dall’idea che l’entità del male è un elemento materiale estirpabile e secondario (un software a cui possiamo accedere come ad una pagina di un libro giallo sull’omicidio di Cogne, un gioco da poter filmare e scambiare tra coetanei per telefonino, una strage ad una università bollata come semplice diffusione di armi in un paese in cui il possesso di un’arma è un diritto, le maestre di Rignano Flaminio subito bollate di pedofilia senza conoscere i fatti ma solo attraverso testimonianze prima di un processo), pone chi lo considera come qualcosa di spirituale, di oltre umano, del male come qualcosa che supera il singolo e va a rappresentare un potere che si annida nelle opinioni false e nella vita mediatica (una atmosfera o una coltre diffusa che non è un mero difetto o disturbo dei nostri geni) , in uno stato di inattualità, come se il Vangelo e l’Antico Testamento non fossero adatti a spiegare meglio il male di come lo facciamo noi, presunti laici, atei, in cima ad una montagna a guardare in basso come ad uno stato iniziale oramai inutile arrivati in vetta.

“Personalmente mi rifiuto di vedere nel cristianesimo una qualunque forma di invito alla rassegnazione, anzi lo considero un appello straordinario alla volontà e alla libertà dell’uomo. Scorrendo le pagine dei Vangeli, si vede quanto spazio abbia lasciato il Cristianesimo alla libera scelta di ognuno, dall’invito a seguirlo rivolto al giovane ricco all’atteggiamento verso i suoi discepoli. Del resto, se le società cristiane si sono evolute di più delle altre nel corso della storia, non è forse a causa di questa scintilla? Secondo il cristianesimo, la storia degli uomini, pur avendo un suo senso, non è già stata scritta. Al contrario, questa religione rifiuta qualunque idea di fatalità o destino, a vantaggio dell’esercizio della libertà e della responsabilità dell’uomo, aiutato dallo Spirito.” (René Rémond, accademico di Francia, “Il nuovo anticristianesimo”)

Oggi sbirciando nel concerto del primo Maggio a Roma, ho sentito il presentatore nell’anteprima che ironicamente scherzava sulla Chiesa e l’evoluzionismo: la Chiesa non si è evoluta ecco perché ce l’ha con l’evoluzionismo. Spero che alla mente ed al cuore di noi giovani attenti questa rimanga una battuta (anche se per molti è una certezza). Il mio atteggiamento non è quello di dovermi e dovervi convertire al cattolicesimo, ma di non considerarlo come estraneo ai tempi che viviamo, come ad una storiella di cui si mette in dubbio anche l’origine (Odifreddi) o si vagheggia su matrimoni della Maddalena (Dan Brown).

L’avvento di un Papa teologo come Ratzinger non è un assalto alla comprensione di ciò che è bene o che è male, ma una grande opportunità per noi studiosi di confrontare la nostra ragione che spiega i fatti con chi invece scrive e ha scritto tesi sulla conciliazione tra fede e ragione, tra il Dio dei filosofi e il Dio della fede, tra l’attuale e l’inattuale.

Ma soprattutto credo che il nostro pensiero sia un pensiero debole, che ha paura del male ma crede che esso si sia evoluto e faccia parte del caso. Se questo fosse il metro di giudizio allora non credo che i problemi del mondo possano essere risolti, anzi la risoluzione dei problemi a cui tutta la conoscenza viene assimilata in un adattamento continuo al caso, non si potrebbe porre il problema del male, perché esso è di per sé spiegabile: è infatti un problema come gli altri e risolvibile come un problema matematico.

Da giovane che dialoga con altri giovani spero che il male non sia posto come una questione qualunque, ma come un quesito metafisico, alto, da temere per comprendere, da considerare come al di là della razionalità per essere risolto nelle sue conseguenze terrene: tra la facilità del male e dei fatti e la profondità del mondo opto per la seconda, ma sempre con la coscienza kantiana di non poter dominare un campo così radicale attraverso la sola ragione ma servendomi della ratzingeriana armonia con il campo della fede.

Davide De Caprio

1 commento:

Anonimo ha detto...

Articolo interessante e molto attuale, commentarlo tutto servirebbe molto spazio, perciò mi limito al punto in cui critichi la frase "contro" la chiesa detta al primo Maggio,è chiaro che messa in quei termini è se non altro banale, comunque è evidente che molte delle posizioni della chiesa odierna saranno smentite in futuro (come ci insegna la storia)
Proprio nel fatto che alla fine la chiesa svolge un ruolo "istituzionale" c'è secondo me la ragione per cui corre con un passo terribilmente più lento del "popolo". Ma è per me altrettanto senza dubbio il fatto che, il suo ruolo nel bene e nel male è fondamentale per la nostra crescita culturale ( forse anche spirituale)
ILARIO