giovedì 14 giugno 2007

Attenzione a Keplero!


Come non possiamo escludere che un' equazione si spieghi tramite il trascendente

Intervengo sul pregevole post di Ilario Ferrari "La vita...un'equazione", che ritengo molto intelligente e per questo lo sottopongo ad una personale critica.
Che il mondo sia retto dal caso rappresenta nel campo scientifico una chiusura totale del progresso ed effettivamente non ci aiuta a capire molto di più, soprattutto perché questo mondo fatto al caso e dal caso non approda a nulla e non cambia nulla. Come scriveva Abraham de Moivre nella "Doctrine des chanses", gli stessi argomenti portati a supporto della nozione di fortuna possono essere utilizzati per stabilire una adeguata comparazione tra Caso e Disegno, tanto da poter calcolare la probabilità che stessi eventi potrebbero essere prodotti da entrambi.

Da questo punto di vista ammetere il caso non è che un altro modo di ammettere il disegno intelligente, e quindi ponendosi dall'inizio in contraddizione con la stessa esclusione della mano di un creatore o di un architetto (ciò, ben inteso, non elimina entrambe le teorie ma ammette come scientifica anche l'ipotesi di un disegno o di un agente intelligente nel momento in cui vogliamo farci affascinare dalla casualità).

Il punto però non è questo, ma è ben presentato dal seguente periodo: "Il punto è che forse, lo sgomento che si prova è perché per qualche motivo questa logica non ci è concessa".

Al di là di cosa si ammette per spiegare il mondo e il suo cammino, Ferrari ammette una logica, ammette un meccanismo, ammette una spiegazione e si colloca nelle linee di pensiero che hanno permesso alle idee prescientifiche dell'antichità di trapassare nella scienza moderna, tra Nicola Cusano e Newton (l'ultimo dei misitici).

Che il mondo possa essere spiegato e che abbiamo la possibilità di scoprirlo nella sua realtà, fu la spinta fondamentale che cominciò a maturare nel Medioevo, fondata su un pensiero niente affatto scientifico.

L'idea di progresso, di importanza dell'operare dell'uomo nel mondo e di vivere nella prospettiva di una sua salvezza a lui donata, essendo l'unico essere razionale capace di poter avvicinarsi a ciò che è profondo e nascosto, sono i risultati della teologia di Sant'Agostino e di San Tommaso, sono il ritorno, tramite l'idea di un Dio che si era fatto uomo (Cristo), di una serie di vittorie che la ragione poteva conquistare nell'antichità (la scienza era già tutta preparata dai babilonosi fino a Pappo di Alessandria) ma che non riusci a portare alla luce poiché quell'elemento divino non si era mai manifestato, era lontano, era un motore immobile o una copia irragiungibile, un infinito che si cercava di non definire e neanche di manipolare.

Lo sgomento che si veniva man mano formando nell'uomo all'alba del rinascimento era quello della creazione rivelata, di una armonia riscoperta nel mondo, di un' anima mundi non più distaccata dall'uomo, ma rese tale per l'uomo e per far si che l'uomo la potesse scoprire nel nome di un creatore che ce l'ha disposto. Questo è il libro della natura scritto in caratteri matematici da Dio per Galilei come per Keplero.

Ecco, sono arrivato al mio punto: "Attenzione a Keplero!", cioè bisogna fare attenzione nel voler ridurre la scienza alla spiegazione del mondo tramite equazioni, soprattutto perché le equazioni, le definizioni, i teoremi e gli stessi numeri che maneggiamo sono delle sistemazioni arbitrarie che abbiamo formulato a mo' di rigore, di astrazione e di assiomatizzazione, ma che non nascono dalla nostra mente in modo necessario: l'"equazione" non è sufficiente per scoprire qualcosa, ma è necessaria solo come strumento per significare qualcosa.

La scoperta del mondo e del suo meccanismo è ammessa per fede in una logica, ma per fede, non per la certezza che la terra giri secondo una equazione. La matematica era un mezzo per interpretare Dio e il suo magnifico orologio che ci veniva chiaramente messo al polso, ma dal fatto che Dio pensi da matematico non possiamo dedurre che sia lui stesso deducibile dalla matematica ( il concetto di infinito è e sarà sempre legato ad un concetto di limite, una quantità che manipoliamo, che "tende a" che mai riusciamo ad ingabbiare, da Parmenide a Cantor).

Presentiamo un breve caso storico su Keplero: il problema della determinazione delle distanze dei pianiti dal Sole e dei loro rapporti. Seguendo una ispirazione mistica (pitagorica e neoplatonica) Keplero si convinse che il numero dei pianeti,6, dovesse essere connesso con il numero dei poliedri regolari,5, che corrisponde al numero dei rapporti delle distanze dei pianeti con quella massima. Suppone allora che nella sfera di Saturno venga inscritto un esaedro. La sfera inscritta nell'esaedro sarà la sfera di Giove. In questa viene inscritto un tetraedo e questa sarà la sfera di Marte. Allo stesso modo si iscrivono le sfere del dodecaedro, icosaedro e ottaedro relative a Terra, Venere e Mercurio. Così le posizioni delle sfere planetarie e le distanze del Sole restavano determinate.

La coincidenza di questi numeri era la prova di una misteriosa armonia dell'Universo che esprimeva il disgeno della Creazione: la base di un tale convincimento è intrisa di misticismo, numerologia, kabala, e visioni magico-esoterice della natura.
Ma se ancora non bastasse, prendiamo uno dei maestri di Keplero, Tycho Brahe, uno degli astronomi "pratici" del Rinascimento, che nel suo Astronomiae Instauratae rigettava il sistema tolemaico e quello copernicano, il primo per ragioni di complicatezza e il secondo perchè "l'autorità delle Sacre Scritture si oppongo ad esso". Anche se il suo contributo riguardava solo una mole immensa di dati ed osservazioni, fu grazie a queste che Keplero fondò la base solida per calcolare i valori esatti dell'eccentricità delle orbite planetarie: i dati di un credente che asseriva "credo, fermamente e senza riserve, che la terra immobile debba essere posta al centro del Mondo, in accordo con le credenze degli astronomi e dei fisici antichi e le testimonianze delle Scritture".

Allora, che una logica esista, possa essere scoperta a tratti, e a volte ci sia nascosta, non esclude il trascendete, ma anzi non si pone proprio il problema di mettere in discussione la fede in qualche ente infinito e onnipotente. Questo è stato il presupposto che ha fondato il pensiero scientifico moderno, dando la possibilità all'uomo di ammettere con certezza una ipotesi o un ragionamento tramite induzione matematica.

Ma dire che la scienza, ossia questo insieme di conoscenze che troppo facilmente si vuole liquidare come un sapere formale e rigoroso, possa avere l'ultima parola su tutto e su questa base porci la domanda retorica "cosa ci da la certezza e la convinzione che un argomento non possa essere oggetto di scienza?", significa relegare nell'ambito dell"estetico e dell'accessorio "la filosofia, la musica, l'arte", ossia tutto quel bagaglio di conoscenze che hanno per secoli potuto dare forma a quell'incubo che oggi ci schiaccia ma che fu prodotto essenzialmente come strumento per renderci più capaci di vedere la magia del mondo senza averne paura.

"L'uomo ha bisogno di provare quella sensazione di estasi, di estraniamento della realtà": concordo con questa frase e credo rappresenti per i fisici come per i compositori di musica lo stesso momento di tensione verso una nuova ipotesi o creazione (non una nuova equazione o una nuova nota scritta).
Sono convinto perciò che la scienza si giustifichi per fede, per estasi, per credenze e per misteri, anche perché se non lo fosse rimarrebbe un mostro capace di negare qualsiasi cosa pro certo, volendo anche se stessa.

Davide De Caprio

1 commento:

spud85 ha detto...

Innanzitutto complimenti ad entrambi gli autori degli articoli sul tema "scienza" (si inizia sempre con una captatio benevolentiae no?).
Volevo aggiungere un dettaglio suggeritomi dall'esimio Heisenberg, che 80 anni or sono ci ha donato il suo "uncertainty principle". Esso sancisce, fino a prova contraria, la limitatezza dell'indagine scientifica, senza tuttavia postulare un principio "regolatore" alternativo, sia esso deterministico, finalistico, probabilistico o del tutto casuale.
Per quanto si è tentato di negare tale affermazione, essa è stata successivamente dimostrata matematicamente: questo è un punto fondamentale.
Quando si modellizza un processo (e non si potrebbe far altrimenti in quanto l'uomo conosce solo per relazioni di somiglianza o differenza) si ricorre all'utilizzo dei freddi numeri non al fine di ingabbiare l'essenza del fenomeno in studio, ma per poterlo descrivere e prevedere in qualche misura.
Credo che la diatriba tra fede, filosofia e scienza sia vuota di significato, poiché se si pensa che lo stesso Heisenberg fu ispirato da un filosofo e che Keplero era "figlio" dell'empirico Brahe, si trova nelle 3 istanze umane un punto di comunione: la volontà e la tensione alla conoscenza.
Per quanti limiti possa essa avere...