martedì 24 luglio 2007

Parliamo del male, della tecnologia e del volto umano

Consigli di un giovane ai giovani sulla perdita del senso
(seconda parte)

Cosa si intende per scienza oggi? Quale rapporto crediamo che abbia la tecnologia, la pratica, l’esperienza e il progresso dei mezzi di produzione con lo sviluppo dell’umanità? Queste domande rappresentano il fulcro della perdita di senso della storia e dell’uso della ragione da parte dei giovani studiosi come di gran parte della storiografia del secolo scorso. Un giovane, che si trova di fronte a degli interrogativi ha bisogno di un minimo di certezza o almeno di chiarezza su alcuni fatti che rendono il nostro orientamento più saldo.

Partiamo allora dalla definizione di scienza e del suo contrasto con la definizione di religione. Quando ci rivolgiamo alle grandi rivoluzione del pensiero, come la rivoluzione scientifica del XVI secolo, non possiamo nasconderci l’inesistenza del pensiero laico nei grandi protagonisti che l’hanno percorsa. Ciò cui Copernico contribuì non fu una rivoluzione ma una evoluzione, il culmine di un progresso iniziato secoli prima, in quell’età buia e priva di senso dove gli scolastici e l’invenzione cristiana dell’università (XII secolo) furono i veri protagonisti. La scienza non era solo compatibile con la religione, ma nacque in quanto serva della teologia e in essa ha fatto i suoi progressi grazie ad un profondo spirito religioso che pervade il concetto stesso di storia delle scienze.

Uno degli autori dei Principia Matematica, Alfred North Whitehead, dichiarò in una delle sue Lectures ad Harvard, che la scienza ebbe origine in Europa a causa della diffusa fede nelle sue possibilità e che essa rappresenta un “derivato della teologia medievale”. Da un matematico e filosofo del suo calibro come potevano uscire delle asserzioni così distanti dalla comune opposizione tra religione e scienza. In particolare Whitehead aveva capito che la teologia cristiana, a differenza delle altre teologie e della stessa religione greco-romana, erano incompatibili con il progresso e soffocavano la ricerca scientifica. Ecco le sue parole:

“Il grande contributo dato dal Medioevo alla formazione del movimento scientifico fu la fede inespugnabile che v’è un segreto, e questo segreto può essere svelato. Come si è insediata così saldamente nello spirito europeo questa convinzione? Non può provenire che dalla concezione medievale, che insisteva sulla razionalità di Dio, al quale veniva attribuita l’energia personale di Yahwèh e la razionalità di un filosofo greco. Ogni particolare era controllato e ordinato: le ricerche sulla natura non potevano sfociare che nella giustificazione della fede nella razionalità” La scienza e il mondo moderno.

Per capire questa tesi dobbiamo ritornare al concetto di scienza, poiché con questa parola non si intende solo “tecnologia”. L’evoluzione scientifica non è direttamente proporzionale alla maggiore abilità nel costruire strumenti tecnici. La scienza è in primis un metodo, un modo di pensare ed organizzare i dati in vista di una spiegazione, in tentativi soggetti certamente a modifiche e correzioni tramite l’osservazione. Quindi si può in linea di massima dividere in due parti la scienza, una parte teorica e una parte pratica, una parte destinata alla formulazione di una teoria e l’altra alla sua applicazione per verificarla. La prima parte è esplicativa, ossia tramite enunciati astratti sul come ed il perché la natura funzioni in un certo modo. Ma per aspirare ad essere scientifici tali enunciati debbono potersi dedurre da precise previsioni nell’osservazione. Qui allora arriva la ricerca, il cimento, l’esperimento.

Come scrisse lo storico Marc Bloch, la maggior parte degli sforzi fatti per spiegare e controllare il mondo materiale , ossia gli sforzi tecnici, fino a tempi recenti, non può assurgere al rango di scienza poiché la tecnica, nei suoi progressi, è puro empirismo. In pratica le prime grandi innovazioni tecniche in epoca greco-romana, nel mondo islamico, in Cina e nelle epoche preistoriche, rappresentano soltanto sapienza, saggezza, arti, mestieri, ingegneria o semplice conoscenza. Chi meglio di un ultimamente mal interpretato Charles Darwin poteva spiegarci questo punto con maggior chiarezza:
“Circa trent’anni fa molti dicevano che i geologi dovessero osservare e non formulare teorie; e ricordo bene che qualcuno disse che in tal modo un uomo poteva anche recarsi in una cava di ghiaia, contare i sassi e descriverne i colori. Che strano che non si capisca che tutte le osservazioni devono essere a favore o contrarie ad alcuni punti di vista se si vuole che siano utili”.More Letters of Charles Darwin.

La vera scienza si sviluppò solo in Europa, poiché solo qui l’alchimia divenne chimica e l’astrologia astronomia, e la risposta ci riporta sempre a Dio. Nicola D’Oresme, teologo e scienziato del medioevo diceva che la creazione di Dio “è più simile a quella di un uomo che costruisca un orologio e gli permetta di funzionare e continuare il suo movimento automaticamente”. Il Dio delle altre religioni monoteiste e in particolare delle religioni dell’Asia, è impersonale, imperscrutabile, irrazionale, scoraggiante per la scienza. Le religioni non cristiane infatti non presuppongono affatto una creazione, e questo rappresenta un dramma: in questa prospettiva l’universo è eterno, certamente ciclico ma increato, senza un creatore, e la conseguenza più lampante è che diviene misterioso insieme alla sua materia, incoerente ed imprevedibile nei suoi effetti. Un tale presupposto incoraggia una forma di conoscenza che si affianca a percorsi di meditazione e di intuizioni mistiche: senza in pratica poter mai sollecitare l’uso della ragione, senza mai porsi il problema di un metodo.

Contrariamente a queste presupposizioni i cristiani svilupparono la scienza perché credevano che si potesse e si dovesse fare. Non la religione in generale, non lo spiritualismo, non la divinità, ma solo “un” Dio, quello che si è fatto carne in Gesù Cristo poteva ispirare il tentativo di comprendere la sua opera, offerta a noi come figli, aperta a noi come fedeli lettori del libro della creazione: in questo modo la conoscenza diventa vicina all’idea di scienza come spiegazione di fenomeni, e soltanto adesso capiamo appieno il significato dell’esser “serva” della teologia. Newton, Galilei, Keplero, scrissero la rivoluzione scientifica interpretando il libro della creazione, poiché esso poteva essere compreso. Ciò sarebbe stato impossibile in Cina, paese così naturalmente propenso all’evoluzione scientifica che suscitò una illuminante riflessione a quel secondo autore dei Principia Matematica, l’ateo combattente Bertrand Russel: “Nonostante sino a oggi la civiltà cinese sia stata insufficiente nella scienza, non ha mai nutrito sentimenti di ostilità verso di essa, quindi il diffondersi del sapere scientifico non dovrebbe incontrare ostacoli pari a quelli posti dalla Chiesa in Europa”.

Russel, sebbene certo del sorpasso dell’Occidente sulla Cina, non sa spiegarselo perché non capiva che il problema era proprio la venerazione del Tao, dell’essenza governatrice della vita, distante ed impersonale, non simile a nessuna delle sue creazioni: una tale divinità è di poca importanza, inutile, etsi Dues non daretur, ed invano si potrebbe parlare di creazione, né dell’universo né per le essenze che lo regolano, poichè sembrano essere inermi in un nulla che è il cosmo. Come concludeva lo storico della scienza Joseph Needham, dopo innumerevoli studi sulla tecnologia cinese, l’astio degli intellettuali orientali nei confronti della scienza in senso moderno era dovuto al fatto che “non si era mai sviluppata la concezione di un legislatore celestiale e divino che impone leggi sulla Natura non umana”.

Mi sono servito della metafora del Secolo Buio perché è questo Secolo che rappresenta il vero illuminismo, che ha permesso la nascita della scienza e del pensiero politico in senso moderno, cosa che ha fatto in primis progredire l’Occidente rispetto alle altre popolazione del mondo. Ma tutto questo ha un prezzo. Ammettere la vittoria della ragione in Occidente significa ammettere che il più grande e fecondo evento della storia europea è stata l’ascesa del cristianesimo. La Chiesa, secondo il principio del “potremo un giorno” diede costante testimonianza della fiducia nel progresso, e non si trattò invece di una mano pesante ed opprimente che ritardò nell’ignoranza il nostro continente. L’espressione Secolo Buio è un falso, tanto quanto quello della Donazione di Costantino scoperta da Lorenzo Valla. Ma la cosa più indecorosa è che da quella filologia rinascimentale nacque la cultura che fece sprofondare negli abissi dell’incomprensione l’epoca più feconda di sviluppi di tutta la storia.

Il progresso intellettuale e materiale dell’Europa si sviluppò rapidamente non appena gli europei sfuggirono alla morsa invalidante della repressione romana e del frainteso idealismo greco: e questo fu possibile perché il cristianesimo insegnava che il progresso era normale e che nuove invenzioni sarebbero sempre state prossime. Questa fu la vera rivoluzione, questa era la vera fiducia ed il vero senso del progresso.

Le tesi e le fonti del presente articolo sono state rielaborate dal libro “La vittoria della Ragione” del sociologo americano Rodney Stark.

Davide De Caprio

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