martedì 8 aprile 2008

Un martedì storico

“Inserire la spina”: tecnologia e popular music, di Paul Théberge

(prima parte)

Ogni discussione sul ruolo della tecnologia nella popular music dovrebbe iniziare con una semplice premessa: senza la tecnologia elettronica la popular music è impensabile nel ventesimo secolo. Come punto di partenza, una tale premessa richiede che si sviluppi una conoscenza della tecnologia musica piuttosto che una collezione casuale di strumenti, registrazioni e dispositivi di riproduzione. La tecnologia è anche un ambiente in cui si fa esperienza e si riflette in materia musicale, cioè un insieme di pratiche dedicate alla produzione e all’ascolto del suono musicale, oltre ad essere un elemento utile nel condividere e valutare le nostre esperienze, in modo tale da definire che cosa la musica è e può essere. In questo senso, l’insieme dei dispositivi elettronici utilizzati per produrre, distribuire e conoscere la musica contemporanea non sono solo un “mezzo” attraverso cui facciamo esperienza musicale. La tecnologia è diventata un “modo” di produzione e consumazione musicale, cioè una pre-condizione per il mercato musicale, un elemento fondamentale nella definizione del suono e degli stili, un catalizzatore dei cambiamenti musicali. Ad ogni modo, la tecnologia non determina semplicemente il mercato musicale. Gli artisti pop ed i consumatori hanno spesso usato la tecnologia in modi non voluti da quelli che l’hanno sviluppata. In questo modo, le pratiche pop ridefiniscono costantemente la tecnologia musicale tramite usi alternativi ed inaspettati.

Questo saggio presenta un visione generale di molte parallele, eppure interconnesse, evoluzioni nella tecnologia musicale: lo sviluppo e la continua importanza delle tecnologia elettromagnetica; l’evoluzione delle tecnologie e delle tecniche di registrazione in studio; la nascita di nuove tecnologie per strumenti musicali; l’evoluzione dei dispositivi e dei formati di consumo musicale, incluse le recenti innovazioni digitali per la distribuzione musicale in Internet. La breve rassegna di strumenti, dispositivi di riproduzione e formati presentati qui verrà considerata come un’ indagine all’interno dei concetti musicali, delle tecniche, dei valori sociali ed estetici tanto quanto una storia della tecnologia “per se”. A questo proposito è necessario riconoscere in primo luogo che i conflitti nell’estetica e nei valori musicali hanno accompagnato virtualmente ogni sviluppo della tecnologia musicale, e in secondo luogo che le possibilità offerte dalle nuove tecnologie non sono mai sfruttate allo stesso modo né persino accettate in ogni sfera del mercato musicale. Perciò, i differenti usi della tecnologia riflettono differenti priorità estetiche e culturali.

Gli specifici usi, abusi o l’esplicito rigetto di varie tecnologie sono poi strumenti che definiscono un particolare “suono”- una estetica pop- e contribuiscono al senso della “distinzione” tra i generi della popular music.

Tecnologie fondamentali

Dalla seconda metà del ventesimo secolo, le tecnologie della riproduzione e registrazione del suono e le industrie a loro associate, erano già solidamente stabilizzate ed erano divenute una componente centrale di tutte le culture musicali dell’Occidente e sempre più del mondo intero.

Ma il vasto assortimento di dispositivi tecnici che veniva utilizzato nella popular music dopo la Seconda Guerra Mondiale e l’intensità del dibattito economico ed estetico che spesso circondava la loro introduzione, tendevano a mascherare l’importanza ancora continua di un numero di altri dispositivi, tecnologie ancillari sviluppatesi nei primi anni del ventesimo secolo.

In modo specifico, il microfono, l’amplificazione elettrica e gli altoparlanti devono essere considerati come assolutamente fondamentali per la musica popolare contemporanea. Il loro carattere è per ironia messo in evidenza dal grado per il quale divengono “naturalizzate” e i loro effetti resi invisibili a noi. Persino nell’era digitale, queste tecnologie rimangono il punto di inizio e di fine per ogni virtuale atto di produzione o riproduzione musicale, e di conseguenza smentiscono l’idea stessa che la musica popolare sia “unplugged”. L’estetica dell’ “alta fedeltà” ha rinforzato l’idea che microfoni, amplificatori e altoparlanti siano delle tecnologie “riproduttive”, che siano, tramite il loro design, trasparenti nelle loro riproduzioni. Comunque, una tale ideologia serve solo a cancellare l’impatto che quelle tecnologie continuano ad avere nella nostra esperienza musicale, persino nel ventesimo secolo.

Curiosamente, furono sviluppate inizialmente né all’interno né per le industrie di registrazione. I microfoni, per esempio, furono inizialmente prodotti per l’industria telefonica e radio, mentre solo successivamente furono adottati per l’utilizzo nella registrazione musicale e nella produzione cinematografica. Durante gli anni ’20, l’industria delle registrazioni esitava nell’adottare metodi elettrici di registrazione per proteggere i larghi investimenti già fatti per produzione e accumulo di registrazioni acustiche. Il microfono in breve tempo aveva dato prova, in congiunzione con l’amplificazione elettrica, di essere più potente nell’abilità di rendere le sottigliezze della voce umana e degli strumenti rispetto ai metodi acustici, cosicché l’industria fu forzata a convertirsi all’elettricità per competere con il nuovo mezzo, la radio.

L’impatto del microfono sullo stile musicale fu sia lieve che profondo: per esempio, il contrabbasso poteva essere ascoltato chiaramente per la prima volta nelle registrazioni jazz, in modo da rimpiazzare la tuba che veniva spesso utilizzata nelle vecchie registrazioni. Ancora più importante, un nuovo ed intimo stile di canto, conosciuto come “crooning”, si evolse in risposta all’introduzione del microfono nella popular music, provocando immediate controversie. Come Simon Frith ha sottolineato, i crooners erano visti dai primi critici come effeminati e il loro stile vocale come, sia tecnicamente che emozionalmente, “disonesto”.

Malgrado tali critiche, ciò che era diventato chiaro per i primi crooners, consisteva non solo nel cantare ma anche nello sviluppare una tecnica adeguata al microfono. Nessuno performer del periodo sembra aver realizzato ciò meglio di Bing Crosby, che esplorò le possibilità offerte dal microfono per meravigliosi effetti: la sua voce baritonale più “mascolina” e “robusta” non solo differiva dagli stili vocali adottati da tutti i primi crooners, ma il suo registro basso era anche particolarmente aumentato dal microfono, attraverso il fenomeno fisico conosciuto come “proximity effect”.

In questo senso, sebbene i performer pop cantassero per un pubblico, reale o immaginario, loro lo facevano sempre prima e principalmente al microfono. In compenso, questo strumento rivela, negli intimi dettagli, ogni sfumatura dello stile vocale. Ma non in modo trasparente: ogni microfono ha le sue proprie caratteristiche e colora il suono in lievi eppure inconfondibili modi. I performer erano diventati particolarmente sensibili alle maniere con cui il microfono poteva imbellire la voce e persino i musicisti che pubblicamente denunciavano gli eccessi degli strumenti moderni e le tecnologie di registrazione, potevano essere scoperti nelle interviste a tessere lodi sull’abilità di certi microfoni di procurare “calore” alle performance vocali.

Come ascoltatori, la nostra esperienza delle “venature” della voce nella popular music ( per non menzionare la nostra nozione di come una chitarra acustica o un altro tradizionale strumento “dovrebbe” suonare) è stata sottilmente influenzata dall’intercessione del microfono. Il piacere dei sensi che ci deriva dall’ascoltare i suoni prodotti da pop performer- dagli ironici e colloquiali toni di Brad Roberts (Crash Test Dummies), alle esagerate ballad di Céline Dion o Whitney Houston, alle grida strazianti di Axl Rose- , il piacere ha essenzialmente un carattere erotico e viene prodotto ancora di più dallo straordinario senso della “presenza” (un termine estetico, metaforico e quasi tecnico, usato degli ingegneri del suono), che il microfono permette.

Nei concerti e nelle registrazioni dei nostri giorni il microfono non è mai una singola tecnologia, ma è sempre plurale. Infatti l’evoluzione delle tecniche multi-microfoniche sono state centrali per lo sviluppo della popular music, durante l’avvento, alla metà del secolo scorso, del rock’n’roll. Prima di questo periodo, non era usuale trovare più di una manciata di microfoni usati in performance live o in studio. Ma innovativi ingegneri e produttori, alla ricerca di un nuovo “suono” per la musica emergente, iniziarono a sperimentare con i microfoni e il loro posizionamento: alla Atlantic per esempio, “ Tommy (Dowd) fece delle cose rivoluzionarie, come microfonare il basso e la batteria. Nessuno usava a quei tempi microfonare la batteria (1950)…poi iniziò ad usare microfoni multipli. Imparammo tutti i vantaggi del remixing e dello sweetening” (Jerry Wexler, produttore). In questo modo gli ingegneri gradualmente si assunsero molte responsabilità per ottenere un bilanciamento musicale di tutti i suoni delle prime registrazioni, e successivamente dei concerti. Gli esperimenti con la tecnica multipla, che richiedevano una posizionamento selettivo e l’isolamento del suono degli strumenti, rappresentò uno dei primi passi per la creazione del moderno studio multitraccia e continua ad essere un fattore essenziale nella produzione di un suono trasparente e nella separazione degli strumenti, caratteristica della maggior parte della musica di oggi.

I microfoni (e le relative tecnologie elettromagnetiche, come pickups e puntine del giradischi) potrebbero comunque essere inutili senza l’abilità di amplificare elettricamente il segnale che producono. Lo sviluppo dell’ “Audio Tube”, ad opera di Lee DeFoster nel 1904, mise le basi per l’amplificazione, trasmissioni radio e altre tecnologie elettriche del primo novecento. Ma dal 1950 l’amplificazione è diventata molto più di una necessità tecnica, ossia un cruciale elemento nell’evoluzione del suono della popular music, in particolare del rock. Fin da principio, il rock’n’roll si stabilì come rumoroso, musica rauca in forza della sua enfasi nell’amplificazione delle chitarre elettriche e, nella decade che seguì, il rock divenne sinonimo sia di volume che di distorsione. Quando un amplificatore è spinto oltre le sue normali capacità, le componenti elettroniche diventano “overdriven”, risultando un suono più abbagliante, ricco di contenuti armonici non collegati alla fonte originaria del suono. Rob Walzer ha sostenuto che il suono delle chitarre distorte è diventato un segnale uditivo chiave per l’heavy metale e per l’hard rock, un importante significato di potenza ed intensa emozione nella musica.

Persino quando gli amplificatori a valvole non sono overdriven, comunque hanno un suono distinto, valutato da molti musicisti ed ingegneri come difficile da riprodurre tramite altri mezzi. A questo riguardo, non c’è forse più curioso esempio del fatto che la produzione di popular music è essenzialmente un progetto estetico, non semplicemente tecnico, della sopravvivenza della tecnologia a valvole. Decadi dopo l’introduzione dei transistor allo stato solido e, più recentemente, dei circuiti digitali, i tubi a vuoto rimangono una tecnologia attuabile. Per tutti gli anni novanta e nel nostro secolo, i produttori di accessori hanno fatto un enorme business nella produzione di preaplificatori per microfoni con tecnologia a valvole, amplificatori per chitarre, compressori e altri processori di segnale. Allo stesso modo, nel momento in cui i computer hanno aumentato la loro importanza nella produzione musicale, i programmi provano a simulare particolari distorsioni, buzz e “warmth” della tecnologia a valvole, per approfittare della prevalente estetica “retro” nei vari generi di pop music.

E’ comunque in combinazione con gli altoparlanti che l’amplificazione da il suo significativo contributo alla cultura musicale popolare. Dalla sua introduzione durante il 1950, l’amplificazione tramite circuiti a transitor si è prestata sia al potere economico che alla miniaturizzazione, rendendo possibile soddisfare da un lato la richiesta di luoghi pubblici, come dance club e stadi, dall’altro il più intimo spazio di una automobile, radio a transitor portabili e Sony Walkmans. La parola “power” si definisce ancora come descrizione di un fenomeno fisico e di un valore culturale: poiché è solo attraverso l’applicazione dell’amplificazione elettrica agli altoparlanti (o alle cuffie) che siamo capaci di investire sia uno spazio pubblico che privato di una intensità musicale senza precedenti nella storia culturale. Si potrebbe sostenere che nessun altra tecnologia affetta la nostra esperienza soggettiva della popolar music più di quella rappresentata dagli altoparlanti amplificati: l’intensità del rock o il rimbombante basso dell’hip-hop sono suoni che possono essere solo prodotti e sperimentati con mezzi tecnologici. Gli ingegneri da studio riconoscono l’importanza degli altoparlanti nella consumazione musicale e abitualmente utilizzano due o tre differenti speaker systems nel tentativo di approssimare gli effetti di differenti condizioni di ascolto su un dato mix.

Gli altoparlanti furono inizialmente introdotti nella radio e nei discorsi pubblici durante gli anni ’20 del secolo scorso, ma il loro sviluppo più significativo avvenne nei primi anni del cinema sonoro. Uno dei nomi più rispettati nell’industria audio, come J.B.Lansing, iniziò la sua carriera sviluppando speaker systems per film teatrali durante gli anni ‘30 e solo dopo indirizzò i suoi sforzi per soddisfare i bisogni di studi di registrazione, stage performance, e home listening. Fu negli anni ’60 che la popular music iniziò a richiedere una speciale tecnologia per gli altoparlanti. Quando pop bands come i Beatles o i Who, giravano sempre più in luoghi pubblici come gli stadi, i loro primitivi amplificatori per chitarra e PA systems erano inadeguati. I produttori risposero a quelle nuove richieste creando sempre più potenti sound systems e in tal modo produssero le infrastrutture tecniche delle moderne performance live. Ancora più importante, gli amplificatori e gli altoparlanti divennero parte di una complessa tecnologia sociale: facilitavano la venuta insieme di una sempre più larga massa per la popular music, supportando sia i bisogni dei fans che quelli dell’industria musicale in espansione.

Come abbiamo notato sopra, l’intensità nella rock music era solo in parte dettata dalla necessità, dato che rappresenta anche una componente fondamentale nell’evoluzione dell’estetica del rock. E come nel caso degli amplificatori distorti, i musicisti rock impararono anche che gli altoparlanti, come fonte sonora funzionale, potevano essere utilizzati a fini musicali. Quando un microfono o un pickup di una chitarra veniva posto in prossimità di un altoparlante amplificato e molto alto di volume, occorreva il fenomeno conosciuto come “feedback”. I chitarristi rock, come Jimi Hendrix, sapevano di suonare per i loro altoparlanti amplificati, strappando un nuovo suono da loro e facendone una vera estensione dei loro strumenti musicali.

All’inizio del rock guitar-based, gli altoparlanti dovevano anche essere considerati come centrali per l’esperienza di una serie di generi musicali pop, dal reggae all’intera gamma di generi associata alla moderna dance music. Dai primi reggae “sound system- o discoteche mobili- ai dance club, ai rave party, una grande importanza è stata data all’abilità degli amplificatori e agli altoparlanti per produrre un artificiale rimbombo, o intenso suono basso. I subsonic speaker system creano toni che sono sentiti tanto quanto sono uditi, supportando quindi il movimento dei ballerini tanto quanto la musica stessa. Di conseguenza, l’enfasi esagerata sulle basse frequenze che troviamo in vari generi della musica Afro-Americana, come l’hip-hop e il rap, viene ad essere percepita dai fans e dai commentatori pop come il marchio non solo di un genere musicale ma di una identità culturale.

Certamente i microfoni, gli amplificatori e gli altoparlanti sono stati importanti virtualmente per tutta la musica registrata: classica, folk, jazz e popolare. Ma è solo nella popolur music e nel rock che quelle tecnologie possono essere viste come veramente essenziali sia per l’espressione musicale che per l’esperienza.

(fine prima parte)

Traduzione a cura di D.D.C

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Bello l'articolo Davide, il termine crooners davvero non l'avevo mai sentito. Da quanto o letto, anche se hai fatto una panoramica storica ed oggettiva del mondo della teconologia in musica, credo che siamo concordi che oggi nessun musicista possa rimanere in balia della tecnologia, per me, solo con una giusta consapevolezza degli strumenti teconologici che si utilizzano, si può essere più che liberi nell'espressione artistica.

Anonimo ha detto...

Bello l'articolo Davide, il termine crooners davvero non l'avevo mai sentito. Da quanto ho letto, anche se hai fatto una panoramica storica ed oggettiva del mondo della teconologia in musica, credo che siamo concordi che oggi nessun musicista possa rimanere in balia della tecnologia, per me, solo con una giusta consapevolezza degli strumenti teconologici che si utilizzano, si può essere più che liberi nell'espressione artistica.