venerdì 21 dicembre 2007

Sensibile ed intelligibile

Un discorso sulla riproduzione del suono nel corso del tempo (seconda parte)

Le immagini, dicevo nella prima parte, sono fondamentali.Vediamo come rendere allegorico questo discorso tramite il sussidio della pittura:



Due raffigurazioni che contemplano due miti e due epoche, due visioni e due cicli della vita. Non stiamo parlando però di stile ma di emanazione dai colori e dalle figure: forme di altri tempi che rimandano ciascuna a funzioni musicali alquanto complementari.

Da un lato la danza del tempo, dall’altro il tocco senza tempo e senza valore. Il grande passaggio dal naturalismo all’impressionismo segna anche il passaggio tra il senso comune e la teoria del senso, come anche il passaggio dalla metafisica della visione alla teoria della percezione visiva. In tutto questo il vedere come conoscere man mano perde la sua consistenza sigillante, riscontrando un cammino tortuoso e parcellizzato che non fagocita il sensibile depurandolo fino alla species intelligibile desiderata, ma divorando le intelaiature intelligibili delle nostre sensazioni immediate fino al limite ultimo, all’ultima ratio, alla categoria del quanto e del numerato, della traslazione senza un davanti ed un didietro, invariante rispetto ad ogni gruppo di trasformazione: la definizione stessa di geometria si sostituisce a quella di sensibile e non conviene più avere una sensazione di qualcosa ma sempre una interpretazione del dato prima di ogni sensibilità.


Ciò non è ovvio perché i piani fisici e quelli culturali sussistono sempre ed ovunque: il corpo e l’anima giammai si seguono a vicenda, capitando spesso al primo di non poter rigettare di colpo la sua presenza nei confronti di uno spirito libertino. Il dialogo tra la strutturazione del nostro orientamento e la realtà di una tale struttura non avviene mai per pause o per decreti, ma attraverso una continua ed esasperante richiesta di senso da parte di ognuno dei pretendenti al trono della validità del mondo.

Ma in che modo due opposti e due opposizioni possono sussistere nello sviluppo e nella storia delle idee?


Analizziamo il primo modello di organizzazione dello spazio e del tempo. Il dipinto di Poussin della prima metà del Seicento è intitolato “La danza della vita umana”, ed è piena di segni, non solo pittorici ma soprattutto agrari e cosmici. L’elemento della danza, elemento al centro e nella prospettiva in basso e in quella in alto, non può che essere un suggerimento, una allusione, un disincanto ed infine una provocazione salvifica nei confronti del ritmo definito e programmato dei limiti laterali del contorno naturale.

Senza dover per forza decifrare, non si può prescindere dall’allegoria, e la codifica dell’immagine è affare di poca importanza se non si apprendono i sensibili notati immediatamente come fotogrammi della vicenda reale e dello spirito che tiene il mondo.

In modo brusco potremmo azzardare nel dire che l’antico non fa allegoria ma fotografia del reale, e il naturalismo che traspare, insieme al ricordo di forme classiche, non è una tipologia o peggio un clichè da riverberare, ma un potente modello radicato nella corteccia visiva e se vogliamo, nel caso dei suoni, nella coclea che trasmette alla percezione uditiva il messaggio della membrana timpanica.

Ecco, il messaggio non c’è mai, in un caso come quello della danza nella vita, per dover suddividere e comporre il reale, per doverlo incasellare in parti e zone; il messaggio avviene senza doverlo ricevere, è già il suono che stimola il muscolo o le ossa, si personifica nella contemplazione dei due bambini che rivelano l’ovvio gioco del pressappoco e dell’arguto, del fragile e del meccanico, tra il gioco delle bolle di sapone e la clessidra che ci ricorda il time, il tempo civile diverso da quello che (ci) fa ballare.

Ricordiamo il tango, l’immagine del toccare e dei sensi prima dell’ordinamento discreto della materia, un passo che trasmette primariamente una percezione fisica del partner, un dialogo della titillazione tra mani, gambe e ventre, nonché un distacco a volte totale dalla pelle dell’altro, proprio come il movimento dell’aprire e del chiudere del bandoneon, strumento che rimanda per natura e struttura alla respirazione senza dover aspirare aria dal torace l’esecutore ma bensì l’ascoltatore-ballerino.

Questa penetrazione della danza e del toccamento non può che essere una riproduzione della parabola antropologica dell’uomo nelle sue funzioni vitali: tatto, respirazione e circolazione (dall’aria al sangue il passo è breve). Ma il parallelo non può limitarsi alla sussistenza in vita ma deve sfondare il ciclo biologico per penetrare più a fondo l’origine armonica della nostra attività mortale: le quattro figure danzanti sono effettivamente il modello della Povertà, della Vita industriosa, della Ricchezza e della Lussuria.

Incastonate e tenute per mano seguono la nascita, l’aumento, il culmine e la discesa dell’uomo, dello stato, della storia, degli avvenimenti e delle loro re-volutiones, ossia dei loro ri-cominicamenti e del loro re-volvere continuo: il continuum appunto opposto al discretum. Non c’è misura nel mondo terreno ma solo un passaggio continuo di luce e di ombra, di stagioni in stagioni, le quali non fanno che seguire il carro del Sole e le Ore, loro si immutabili, le sfere celesti che mai si vedono perdurare tra l’acerbo il maturo ed il marcio.

Abbiamo così risolto in pochi riferimenti un quadro della visione del mondo antica e premoderna, che sussiste nel senso comune e nelle società agrarie e che fa si che la riproduzione degli atti quotidiani sia regolata da un processo difficilmente trasferibile dall’artigiano al prodotto finale: non possiamo comprende l’assenza di riproduzione meccanica se dimentichiamo l’assenza del bisogno di misurarsi dell’uomo comune di fronte alle intemperie dei quattro elementi (non ho bisogno di conoscere le previsioni meteorologiche per essere certo in burrasca d’aver “sfidato gli elementi”).


Davide De Caprio

1 commento:

Anonimo ha detto...

Thanks :)
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