giovedì 27 settembre 2007

La Birmania ci interessa?

Riapriamo le danze sul Matblog e ci vorremmo chiedere subito, in modo non buonista, che cosa suscita in noi e quali riflessioni debbano richiamare alla mente e al corpo le notizie sul Myanmar (ex Birmania).

Non rientra certamente in uno spazio dedicato all’arte, alla musica e alla tecnologia, ma non si può rimanere muti davanti alla mancanza di senso della nostra risposta, sia interna che esterna. Nel cuore di tutti i singoli dell’Occidente sicuro, in cui si può fare di tutto (nella coercizione di doveri e relativi diritti), si può manifestare per un governo, contro un governo, contro il sistema, si può invitare un personaggio come Ahamadinejad nelle più prestigiose università e si può farlo proferire su ogni quisquilia (antisemitismo, inesistenza dei lager, omofobia e eliminazione dei gay, la donna islamica che è più libera di quella della rivoluzione sessuale a noi cara), in questa torre di Babele tecnologizzata ed industriale, in cui si può lavorare, essere licenziati, trovare un nuovo posto, crearsene un altro (se ne si ha voglia), scegliere la propria religione, cambiarla durante l’arco di una vita, fare figli o non farli, vivere in famiglia e non considerare famiglia la trinità ma qualsivoglia contratto o pacs o associazione tra animali; ma soprattutto nel nostro caro Occidente dove dalla seconda guerra mondiale (il riflesso di un delirio e di una fine tragica della filosofia del potere razionalmente “chiaro ed evidente”dell’uomo e della religione pagana dell’”uomo dio dell’uomo”) ci si riunisce, in assemblee o in sedute internazionali, si può esprimere un voto o un veto, si può fare una battaglia e vincerla, si può cambiare “regime” a seconda dell’elettorato; bene, in questo crogiuolo di ciò che chiamiamo democrazia il nostro cuore certamente prova disgusto nel vedere dei monaci e una popolazione in ostaggio di un gruppo di militari sullo scranno, lo stesso disgusto che proviamo per le persone che non hanno da mangiare, che soffrono per un destino infernale, ingiusto, senza provvidenza, senza ripartizioni uguali, senza un senso uguale. E allora la nostra pietà ci invita subito a radunarci, la nostra voce che conta e che per fortuna è visibile su ogni mezzo (stampa, televisione, radio, internet) farà il giro del mondo, colpirà anche il cuore e l’anima di quei militari che dovranno accettare per forza l’inviato dell’Onu, perché questo è il responso della civiltà progredita, quella dei veti legittimi della Russia e della Cina, quella modernità fatta di pietà e di dialogo ad oltranza, tra Wojtyla e Gandhi.

Ho espresso un periodo molto lungo per reificare il nostro atteggiamento più immediato, che più riflette la nostra azione quotidiana, quella del senso comune; ma c’è anche chi insieme a questa non violenza vorrebbe più azione, che bolla il veto dei due giganti Orientali, che non si fa capace dell’atteggiamento equivoco della Cina quasi capitalista, quasi europea ma che non sente di condannare le uccisioni religiose. Allora penso e rifletto, passando ora alla mente, dopo aver fatto sfogare il cuore e l’istinto: siamo così sicuri che sia facile creare la democrazia? Siamo sicuri che possa nascere dalle parole o dall’invio di un delegato? Siamo sicuri che l’uomo sia portato un giorno o l’altro a creare una federazione, un corpo politico, un cambio di regime che si possa chiamare cambio di governo? Siamo davvero sicuri che nel mondo secolarizzato e laico il valore di una religione sia da mettere da parte, che possa nascere la democrazia ed andare avanti in modo puro, seguendo l’etica senza dio, nella creazione di un primo vero potere razionale, laico, eticamente equidistante, politicamente neutro?.

La lezione che possiamo trarre è che l’unica civiltà che è riuscita in questo progetto la ritroviamo in Occidente, in special modo nell’Occidente dell’Inghilterra e degli USA, e con più fatica nel resto del continente. Chiaramente il modo in cui ci si è arrivati ha dovuto ricorrere alla violenza e alla guerra tra gli uomini e alla eliminazione di alcune giustificazioni tipiche dell’onnipotenza dell’uomo solitario al potere: la schiavitù e l’intolleranza religiosa, insieme alla chiusura della circolazione di conoscenza.

Bene, quello che vediamo e sentiamo oggi è un gruppo di monaci che si ribella al potere di un manipolo di militari, anch’essi dei religiosi, ma che evidentemente non hanno mai avuto a che spartire con il diritto alla religione. Il significato vero di un massacro è che l’uomo non vince da solo, non sconfigge il male senza l’aiuto e la collaborazione di un senso diverso dell’essere mortale. Tra tutte le religioni e le tradizioni etiche i valori giudaico-cristiani sono stati gli unici che nel loro progresso hanno consentito ciò che il loro credo professava (“Date a Cesare quel che è di Cesare”), le uniche che non hanno ostacolato il progresso se non per guerre intestine ( riforme e controriforme), che hanno consentito di proseguire nei loro valori e nei loro veti senza scatenare altre guerre religiose in nome di un Dio irrazionale. Purtroppo l’uomo a volte non sa limitarsi alla sua propria ragione, travalica i principi tradizionali e la sua stessa sicurezza di trovarsi in una società giusta: alla fine l’uomo senza un accordo ben preciso su cosa sia giusto e cosa significhi avere un’ autorità tra i suoi simili si “gioca la libertà” e con essa la sua stessa ragion d’essere.

Il popolo della Birmania ha ragione, è nel giusto, rivendica quello che l’Occidente ha sofferto di fronte alla dittatura dell’uomo che è la superstizione di sé stesso. Siamo di fronte al rinascimento di una cultura che vuole essere come la nostra, che vuole al potere chi ha votato e chi è stato insignito del premio Nobel sul nostro suolo.

Cosa fare? Immagino, le marce saranno tante, gli appelli a non finire, ma non si può non vedere che c’è una pecca in tutto questo: siamo degli scattisti senza il senso della gara. Non ho mai sentito dalla nostra intellighenzia una sola parola su questi regimi, mai un intervento duro da parte di quell’insieme di paesi che dovrebbero rendere il mondo uno spazio più democratico: l’ONU. Non si è mai detto nulla, oppure, se si è fatto, non ci sono state mai conseguenze pratiche, cosa davvero strana in un mondo così veloce e così immediato nell’efficienza dei suoi servizi. Non vedo risolversi nulla sul lato Darfur, sul lato Zimbabwe, o sul lato nascosto di quel paradiso marcio di Cuba. Ma per fortuna ho speranza in due tre persone che sicuramente il mondo odia, o imparerà ad odiare presto, ma che vi invito a seguire perché se avrete il coraggio di farlo vi accorgerete che nelle loro parole e nelle loro scelte (di politica interna come di politica estera) c’è un filo comune di intesa, una speranza che da ormai dieci anni sta travolgendo e avendo dei risultati (lenti e sanguinosi ma signori è la storia e non possiamo sottrarcene come anime belle!): Bush, Sarkozy e Brown. Sento in queste ore plausi per le loro parole, a volte una certa resistenza e delle trovate carnevalesche (il “Corriere della sera” che pubblica come notizia importante il gobbo suggerente le pronunce al presidente degli Stati Uniti, una satira da Europa pigrona e priva di iniziativa, scattista ma sempre dopo gli altri), a volte delle riserve ancora più gravi, come per dire “attenzione” il presidente del male insieme ai suoi compagni (un po’ come il regista Moore) stanno cavalcando l’onda, approfittano per rendersi belli.

Credo di essere una delle poche voci che segue gli sviluppi dell’ala neoconservatrice degli USA, ma oltre alla simpatie (studi e leggo i filoni ispiratori di questa visione del mondo come Karl Lowith e Leo Strauss) non vedo altre “voci politiche” che si muovono, non vedo altri presidenti che quando vengono rieletti hanno il coraggio di affermare: “La politica degli Stati Uniti è quella di cercare e di sostenere la crescita dei movimenti democratici in ogni nazione e in ogni cultura, con l’obiettivo finale di porre fine alla tirannia nel mondo”. Molte persone che ascoltano e vedono su You Tube la caduta dei monaci e con essa il diritto alla vita del popolo della Birmania devono riflettere adesso con la mente, riflettere sulle prossime ore, sul delegato dell’ONU e la mancanza di sanzioni e di un duro monito, del veto della Russia e della Cina, della pressione dell’amministrazione Bush che da alcuni mesi (chi voglia dei dettagli può richiederli) fanno pressione su Ban Ki-moon in relazione al regime tirannico dei militari che arrestano e ammazzano monaci.

Questo articolo lungo è uno sfogo certo, ma anche una riflessione in ultimo determinata dal fatto che non ritrovo altre importanti forze vive nel mondo in lotta con il male. Perché il male c’è, non è finito con il relativismo delle culture; certo alcuni credono che il male risieda anche a casa nostra, e ne sono convinto anche io, ma stento a credere che da una cotale torre di Babele che svolge i suoi compiti in modo così limpido e così visibile possano nascondersi occulte manovre, occulte macchinazione che nonostante la forte democratizzazione riescano a far crollare delle torri, a fare guerre energetiche che impegnano risorse ingenti, a mettere ai voti chi li ha portati sul baratro, a processare chi ha sbagliato, a svolgere commissioni di inchiesta, oppure a rassegnare delle dimissioni quando si sa di aver sbagliato: o siamo degli idioti o votiamo degli idioti.

La democrazia non uno sviluppo necessario, essa accade in un paese in cui c’è un alto senso di responsabilità, in cui quando si viene eletti si portano i propri risultata ad un banco di prova internazionale, si paga lo scotto di essere definiti dei tiranni ma poi si va all’Onu come unica voce fuori dal coro a dire che bisogna combattere senza se e senza ma i tiranni geneticamente fuori dal consorzio umano. Spero che tutti i nostri sforzi servano e conducano ad un risultato comune, ma essendo molto pessimista sulle sorti dell’uomo che crede di trovarsi nel mondo secolarizzato, non credo che si avranno grandi risultati nella Birmania se non si segua una linea dura, una linea che è faticosa e che faccia render conto fino nell’intimo dei nostri cuori che il male del mondo per non esistere dovrà vincere un potere che è alla sua altezza, che porta alla pace certo, ma che, signori miei, nasce dagli errori, dalle sconfitte, dalle difficoltà e dai lutti.

Emanuele Kant, che aborriva la corsa agli armamenti, ma che vedeva la storia verso un ordine finale di pace perpetua, ci avrebbe detto che era normale la repressione in Birmania, che l’antagonismo è la chiave che porta alla socievolezza, che l’errore è l’inizio del senso della nostra disposizione naturale, e che se si fosse rimasti nella pigrizia e nell’inerzia dell’egoismo (che potremmo interpretare oggi come una sorta di distanza nei confronti delle rivoluzioni di altri mondi, nonostante il mondo sia unico da più di cinquecento anni), ci ritroveremmo in un paradiso armonioso e arcadico senza svolte importanti. Cerchiamo allora, noi che viviamo in un recito preparato da tempo da lotte interne ed esterne, da antichi imperi poi trasformatisi in assi del terrore, di non cullarci nella nostra federazione di giusti, cerchiamo di rivendicare cosa è giusto, e cerchiamo di raddrizzare il legno storto del mondo umano: se non si fa questo si è degli animali, si è equidistanti nei confronti di tutti e si vive tranquilli, senza mali, con un buon padrone, e noi delle buone pecore.

Davide De Caprio

2 commenti:

Unknown ha detto...

Dunque,
Io ho una grande passione per le storie fantasy: gli eroi, potenti guerrieri, maghi, streghe streghette e stregoni e gnomi incantatori, ma anche scaltri ladri, nani elfi e roba varia, di simile fattura. In particolare, per capirci, ho letto e amato, nonché seguito nella trasposizione cinematografica un'opera entusiasmante e di fine intrattenimento come "Il signore degli anelli".

IMPORTANTE PARENTESI: lasciamo stare le influenze e ispirazioni, presunte o accertate, implicite o esplicite, di J.R.R. Tolkien, non voglio aprire un dibattito su questo, adesso, né sui particolari della trama del libro/film.

Come detto, dunque, mi appassiona, come lettore, un mondo in cui ci siano dei "popoli liberi" che prosperano e vivono felici in verdi praterie, mentre in altre parti del mondo il clima è stato un po' meno indulgente, e la nera pece corrode gli animi e i corpi delle genti che le abitano, in uno stato di totale miseria, morale sì, ma anche concreta, in fondo. E mi piace immaginare (ma per fortuna solo immaginare) un mondo (ma per fortuna mai esistito, né potenzialmente esistente) in cui tutta questa gente è malvagia, e viene sollevata ogni qualche migliaio di anni, da un Oscuro Signore, che li trasforma in una minaccia attiva per il mondo dei ben pasciuti, il cui unico interesse, giustamente, è difendere la loro terra, mica aiutare gentaglia come orchetti, orchi, lupi mannari e roba simile.
Ed ecco allora che bisogna armarsi e partire, per far sprofondare nelle viscere della terra tutta quella spazzatura e non doversi più tappare il naso per non sentirne la puzza.
Ecco la vittoria del "Bene" sul "Male".

Sarò relativista (e se vogliamo dirla tutta, provo ad essere anche cristiano, e a rimettere il giudizio su questi termini così impegnativi solamente a Dio), ma sono molto soddisfatto nel constatare che tutto questo schema è frutto di un'operazione di fantasia letteraria, nemmeno di inarrivabile valore, per altro.

Caro Davide,
devo ammettere che questo preambolo era diretto soprattutto a te, al tuo intervento qui e al tuo articolo su "theMATblog" che mi è stato alquanto utile per approfondirlo.
Rispetto la tua idea, ma nell'esprimere la mia opinione sui temi che sollevi, non riesco a non accostare la tua visione con quella sopra illustrata. Mi sembra che tutto il tuo intervento sia intriso di una molto scarsa apertura verso culture diverse da quella occidentale, modelli etici, politici, religiosi (e lo dico da cristiano) molto diversi. Non consideri che le dittature, i totalitarismi, le "buche" di democrazia nel mondo, sono frutto di fattori economici e politici (anzi questo lo neghi esplicitamente).
Se c'è un "Male" in questo mondo, non sono la Cina e l'India che, come l'Oscuro Signore, tendono ad allargare i loro tentacoli sulla terra di Mordor, per poi invadere le nostre verdi praterie, solo perché non hanno gli stessi "principi a priori" (se ti sentisse IMMANUEL KANT, scusa ma...) dell'occidente. Un "Male" non c'è, o perlomeno noi non possiamo enuclearlo necessariamente (salvo purificare davvero l'ONU dagli interessi individuali e collettivi delle lobby che tengono in mano la politica, ma è un attimino utopico) e soprattutto non è individuabile in alcune persone e in altre no, in alcuni paesi e in altri no.
Quelli che tu chiami "principi a priori" e che io chiamerei più disincatatamente, marxianamente se vuoi (ma senza implicazioni politiche, vi prego), "ideologie", sono patrimonio comune dell'umanità e sono molto, ma molto, più forti e importanti per i monaci che con determinazione nobilmente umana, lottano SENZA VIOLENZA per la loro libertà e per la libertà del loro paese, che non in personaggi, che mi sono stancato di definire abominevoli sotto tutti i punti di vista, come George W. Bush e i suoi servitori, i capi di governo dell'UE. Mi dispiace, sinceramente, (non ho mire grillistiche particolari), ma non posso salvare nessuno di questi personaggi, almeno sul piano delle loro azioni pubbliche, ovviamente. Nonché tutti i dittatori del "mondo non libero=non occidentale" che pure (vale la pena ricordarlo?) ha visto il tramonto della sua ultima dittatura solo 30 anni fa e ha sistemi democratici alquanto difettosi (su questo Grillo ha proprio ragione).
Non voler vedere e constatare la quasi totale dipendenza delle decisioni di tutti questi signori da motivazioni di ordine economico, sono d'accordo con te Bruno, significa foderarsi gli occhi il naso e le orecchie di prosciutto. Qualsiasi fenomeno che osserviamo in questo mondo libero (mi permetto di consigliare, nel citarlo, il film di Ken Loach, presto nelle sale, che ho avuto il piacere di vedere alla mostra di Venezia) è legato a fattori economici, prima che di altra natura. Non ho tempo di approfondire la questione, ma penso che basti veramente guardarsi intorno in modo disincantato.
Trovo, per di più, che sia pericoloso e colpevole, ideologicamente parlando, non acquistare, nella società di oggi, questo sguardo critico fondamentale.

Ciò detto mi scuso per il dilungarsi della mia riflessione, ma ho due ultime cose da dire.
Confesso, per chiarezza, che l'e-mail con la proposta della maglietta rossa l'ho girata al gruppo più per curiosità che per altro, non partecipavo dell'entusiasmo con cui era stata scritta, ma comunque apprezzo il clima dei movimenti, perché mi sembra l'unico perlomeno potenzialmente fertile, lasciando stare le degenerazioni che la dirigenza (come nei partiti, d'altronde) porta con sé.
Penso, per concludere, di dover apportare, dopo una pars destruens così articolata, almeno un accenno di pars costruens: contrapponendo alla visione verticale di Davide una visione più orizzontale, penso di poter riporre fiducia, senza aspettarmi risultati concreti nell'immediato, ma non foss'altro per definire una strada perseguibile da tutti, con coscienza critica, laica e, ripeto disincantata, nella solidarietà tra persone, progetti e organismi che però ritornino sempre sulle persone. Ma persone in quanto tali, non in quanto rappresentanti di qualsiavoglia categoria, o nazionalità, non in quanto persone giuridiche. Bisogna stravolgere innanzitutto il concetto di "persona" come lo conosciamo, e rivolgerci al lato positivo ed edificante della biopolitica foucaultiana: il modello secondo me più valido (fatti salvi sviluppi ancora da intraprendere) per rappresentare la società odierna.
Ma contemporaneamente bisogna concretizzare il nuovo concetto dandosi da fare nel quotidiano (e i modi ci sono, davvero tantissimi) per chi vive a Mordor, ma non è un orchetto...

Giulio Ortolani

Unknown ha detto...

Scusate ma ho dimenticato una cosa importante che esprimerò con uno slogan, per scongiurare, ideologicamente se volete, il rischio più grave del pensiero esposto da Davide, ed è inquietante che lui non lo dica mai apertamente, quasi parlando politichese, per preparare l'uditorio all'accettazione di quello che accadrà in seguito, senza fargliene rendere conto:

BASTA GUERRE!

Giulio