sabato 27 ottobre 2007

Vignetta della domenica

Ed ecco anche il ritorno della vignetta della domenica, in questo week-end riguardante i nuovi risvolti delle indagini sui fenomeni apparentemente paranormali in quel di Caronia(Sicilia).


Daniele Tartaglia

venerdì 26 ottobre 2007

Il mio ritorno sul MAT con John Jude.

Dopo un lungo periodo di degenza, non solo mio ma anche del mio pc funestato dagli errori del fyle system, torno a scrivere di nuovo sul MATblog, proponendomi di rifarlo con la stessa costanza che vi ha accompagnato per tutta l'estate da poco trascorsa.

Tralasciando il mio auto-ben-ritornato ( e aggiungerei anche "era ora che ti decidessi")voglio parlarvi del nome misterioso che compare nel titolo di questo articolo, molti di voi infatti si saranno chiesti chi sarà mai questo fantomatico John Jude con il quale riapro le mie danze sul commentario di Musica Arte e Tecnologia.

Si tratta in effetti di un artista americano, nato a Fairview Park nell'Ohio,che è famoso oramai per le sue illustrazioni dedicate al mondo del Fantasy e della Sci-Fiction, altrimenti nota come Fantascienza, illustrazioni che hanno fatto il giro del mondo stampate sulle copertine o nelle pagine interne dei libri che vanno ad adornare.

Christopher Paolini , l'autore della trilogia dell'Eredità (per intenderci quella di cui fanno parte Eragon ed Eldest), lo annovera tra i suoi artisti preferiti , tanto da donare a uno dei luoghi del suo mondo fantastico il nome di tale artista, delineando così la Valle di Palancar.

Suoi infatti sono i meravigliosi "ritratti" dei draghi sulle copertine dei primi due libri di questa trilogia, ma quello che spesso non si sa è che le sue illustrazioni fanno capolino anche sulle copertine di libri ben più remoti e famosi di quelli di Paolini, senza nulla togliere al giovane scrittore.

Le opere di Palancar vanno ad ornare le copertine dei libri di autori quali H.P. Lovecraft, Ursula LeGuin,Marion Zimmer Bradley, Octavia Butler, Stephen King e Charles deLint,proprio per questa loro vicinanza con il genere di cui queste opere letterarie sono fiere esponenti, che quindi spazia dal gotico al fantastico, dall'orrore al fantascientifico con una fluidità che ricalca il solito stile dell'artista in questione.

Prima di divenire un artista famoso, ha "prestato servizio" presso le giurie di molte competizioni internazionali di arte, essendo un artista impegnato sotto tutti i punti di vista e viaggindo per il mondo che richiedeva la sua presenza, ora come collaboratore , ora come candidato a premizioni illustri.

Tra i premi ricevuti nella sua carriera ricordiamo una medaglia d'oro e una d'argento ricevuta dalla"Society of Illustrators", due "Gold Boook Awards"ricevuti dalla Spectrum,un "Best Hardcover Award" e due "Best Paperback Awards" per tre anni consecutivi presso la "Association of Science-Fiction and Fantasy Artists".

Il suo lavoro di artista lo ha portato a collaborare con la rivista Giapponese "IDEA Magazine" e alla partecipazione del "on-going artist-in-residence program" a County Kerry in Irlanda, dove dipinse i lavori ora inclusi nella mostra "Images of Ireland"del National Museum di Dublino.

Tuttora attivo, questo artista può vantare una fama altisonante, tant'è che alcuni suoi lavori fanno già parte di importanti collezioni artistiche private di molte famiglie facoltose degli Stati Uniti.

Per quanto riguarda il mio giudizio penso che Palncar faccia parte di quella stirpe di artisti capaci di catapultare il lettore o l'osservatore nel mondo da lui tracciato,talento di cui ho già parlato a proposito di Dorè o di Black , capacità che non è rara tra gli artisti, ma che raramente raggiunge livelli così affinati come per questo artista.



STORM WORSHIP (The Storm Twins),un'opera di John Jude Palancar

Daniele Tartaglia

mercoledì 24 ottobre 2007

L'unità del reale (parte 2)

Abbiamo parlato di come a livello macroscopico il fenomeno del suono e delle radiazioni elettromagnetiche si presentino sotto forma di onde, governate dunque dalla medesima equazione.

E’ naturale chiedersi se anche a livello particellare, atomico, sia la stessa cosa, ovvero i due fenomeni siano simili.

Per parlare circa il loro conportamento a livello microscopico, bisogna rimandare a concetti di fisica quantistica.

Per chi non fosse a conoscenza dell’argomento, lo si può sintetizzare in alcune frasi:
All'uomo non è dato di "conoscere" la realtà fisica con la precisione che desidera. Vi è un limite invalicabile insito nella natura stessa delle cose.”

A livello macroscopico i corpi non compiono traiettorie continue. Si puo parlare solo di probabilità di trovare un corpo microscopico in una posizione non si puo in generale dire nulla circa la posizione stessa.

Questi principi sono in apparente antitesi con il "buon senso". La meccanica quantistica è infatti una grande dimostrazione di come il cosiddetto "buon senso" sia erroneo e fuorviante, perché prodotto dall'esperienza di vita in un ambiente di cui i nostri sensi ne avvertono solo alcuni aspetti.

A livello microscopico i due fenomeni fisici in analisi si comportano come treni di pacchetti do energia che interagiscono con la materia circostante.

Nel caso di onde EM si chiamano fotoni, ogni fotone trasporta una quantità di energia data dalla legge di planck:

E = h ν

dove ν è la frequenza della specifica radiazione; h è invece una costante.

Si possono da ciò trarre due conclusioni importanti:

1) Più il fenomeno elettromagnetico è ad elevata frequenza più i fotoni che lo compongono possiedono energia, ovvero arrecano maggior “danno” alla materia.

2) Si può trattare un onda come fosse un treno di quanti e la sua interazione con la materia come l’interazione di un solo fotone con uno specifico atomo.

Per il suono si parla invece di fononi.

Comunemente si definisce fonone: una quasiparticella che descrive un quanto di vibrazione in un reticolo cristallino rigido.

Non si trovano facilmente articoli o trattazioni di fononi correlati alla musica o in generale al suono.

In generale i fotoni sono scomodati quando si analizzano onde elastiche in mezzi solidi.

Quello su cui mi premeva attirare l’attenzione è come a tutto tondo e non per forzatura dell’uomo fenomeni che si manifestano sotto forme differenti siano in realta dovuti a simili cause microscopiche.

Su questi presupposti c’è addirittura una branca della fisica detta fisica vibrazionale, che cerca di ricondurre tutti i fenomeni fisici conosciuti a fenomeni vibratori microscopici, ipotesi che alla luce di quanto detto non sembra poi così assurda…..

Ilario Ferrari

giovedì 18 ottobre 2007

Percezione immediata e armonia: da Platone a Boezio

Uno degli aspetti più importanti per capire come si svolge l’apprendimento della musica oggi, ossia in che modo ascoltiamo e interpretiamo del materiale sonoro, è il ruolo che la musica svolge rispetto alle altre branche del sapere. Ed il rapporto di oggi è nullo. Nella divisione delle arti liberali accanto al trivium (retorica, grammatica, dialettica) vi era un quadrivium (aritmetica, geometria, astronomia e musica). Ciò non spiega ancora molto, perché una divisione ha sempre luogo da una unione più omogenea. Il musicologo Ernest McClain, decodificatore del pensiero antico, ha cercato di derivare dalle teorie matematiche e planetarie tutte le strutture della religione pagana e cristiana, nonché la teoria musicale connessa. E c’è del vero. Non perché porti prove soddisfacenti ma perché nel suo apparato complesso, al limite tra numerologia e pensiero magico, ci fa riscoprire ciò che all’origine doveva sembrare il suono e la sua composizione: dove appunto l’origine dell’ascolto è l’inizio dell’interpretazione della natura.

Sono convinto che non si possa ascoltare bene se non si è coscienti che l’ascolto moderno è già di per sé relativo, neutro e senza senso. O meglio, il senso è già supposto, è già innestato, ma non si comprende il perché debba esistere e il perché l’uomo abbia bisogno di senso per l’esistenza.

Karl Lowith diceva, a proposito del senso della storia:

“…il discorso sul senso della storia non concerne solo l’unità e la totalità di ciò che noi chiamiamo così semplicemente “la storia del mondo”, per cui pensiamo soltanto al nostro mondo umano e ignoriamo il restante mondo, bensì tale discorso implica anche un senso nel significato di scopo o meta a cui la storia tenda nella totalità del suo moto….il senso di tutte le cose che non sono già per natura così come sono, bensì sono volute o create da Dio, o dall’uomo, e che perciò potrebbero essere anche diverse o non essere, si determina dal loro scopo. Un tavolo è ciò che è per il fatto che in quanto scrivania o tavolo da pranzo rinvia a un “perché”, per cui esso esiste. Anche gli accadimenti storici rimandano oltre se stessi, in quanto l’azione da cui sorgono mira a qualcosa in cui il suo senso si compie come scopo” (Sinn der Geschichte, 1956)

Nel tempo si sfugge al senso o per lo meno si salva una sua applicazione alle cose, ossia lo scopo, la cui desertificazione più secolare è rappresentata dall’utilità. Utile e neutro si fondono nell’unico senso del mondo moderno, nella filosofia sottesa ad ogni atto quotidiano; lo stesso atto misericordioso della carità verso i più indigente perde senso se non è corredato da un pieno senso morale (religioso o mistico) e non da una pura questione di moda dei tempi (religione fai da te, supermercato liturgico laico-ateo).

Le analogie sono importanti e sfuggenti, come quelle che possiamo allargare al caso della musica, prodotto in bilico fra l’arte e la scienza, di difficile interpretazione perché di facile dispersione: la musica non è affare esclusivo di alcun campo, nella fisica è uno sviluppo del moto periodico e nell’arte un gioco estetico di regole canoniche e di sensazioni. Oltretutto è uno degli ambiti in cui la moderna tecnologia è riuscita a fondere il concetto informatico di digitale e la modulazione del suono e dello studio di frequenze standard per una perfetta riproduzione estetica: nonostante la bravura dell’ingegnere del suono, il risultato trattato solo digitalmente rimane un numero ed un artificio della macchina di cui l’uomo rimane un sorvegliante (“ Si potrebbe caratterizzare la macchina dell’età elettrica-ed ancor più dell’età “elettronica”-con la sua pulizia, la sua precisione e il suo automatismo quasi completo, che trasforma l’operaio da servitore in sorvegliante”. Alexandre Koyre, I filosofi e la macchina )

Altro problema è che nonostante la quantificazione, il suono è suonato comunque da una persona e riceve uno stimolo ed una scelta difficilmente interpretabili tramite algoritmi. Ma il rapporto moderno con l’automatismo in musica è sempre inquadrabile nella sfera dell’utile e del pratico, dove alla difficoltà delle antiche incisioni su disco in presa diretta si sostituisce l’icona del software che può tagliare anche ciò che era non voluto in una esecuzione (si può sbagliare o non sbagliare ma si è certi di essere tagliati e “remixati” anche dopo avere suonato).

Non ci interessa neppure, in questa sede, la pratica ancora diffusa dell’utilizzo di missaggi in analogico su digitale. E’ chiaro che non si passa mai totalmente da una tecnologia antica ad una moderna, ma esistono fasi ritornanti indietro e grandi slanci in avanti, dato che la tecnica non è una scienza, e l’approdo alla tecnologia resiste sempre ad una vecchia tecnica o ad un’ anziana tecnologia ormai dimenticata. Questo punto è di massima importanza anche per il piacere dell’ascolto. In ogni macchina nuova si rivede il vetusto utilizzo della precedente, anzi lo si ricerca e lo si reinventa con tratti modernizzati: non c’è mai un passaggio netto dall’illuminazione a gas alla lampadina a filo incandescente, né un netto passaggio dal 33 giri all’Ipod, e ciò è dovuto non solo per principi di costruzione standard o per teorie della costruzione universalmente valide, ma anche per la nostalgia del vedere nel nuovo l’antico e nell’antico il nuovo.

Il discorso sul senso è centrato proprio in questi ritorni, e si illumina di nuova luce quando bisogna interpretare il senso di una antica pratica rivolta ora nel futuro, cercando così di intravedere se il bisogno dello scopo rimane lo stesso, si svuota di significato oppure resiste nella nostalgia, magari velato da bisogni secondari o per utilità falsate dal quotidiano: l’ascolto moderno non può essere decodificato se non si presuppone il senso da cui è partito, anzi solo presupponendo il senso possiamo spiegarci la mancanza di senso e la neutralità della secolarizzazione che colpisce inevitabilmente tutti i campi del sapere, compresa ogni forma di avvicinamento alla musica.

In principio, in epoche premoderne (civiltà classica e medioevale), non esisteva il concetto di riproduzione fedele. La natura ha un suo corso, le opere umane si strutturano seguendola e difficilmente si può ingannare la qualità delle cose terrene nonché delle cose celesti che guidano il cosmo. Soprattutto non viene concepita la riproduzione come atto che l’uomo riesce a formare in un’opera: l’artigiano o il meccanico non possono costruire utensili che riproducono il movimento esatto della natura, ma ne possono rendere solo una certa intelaiatura geometrica, comune a tutte le cose naturali ed artificiali, ma non ne costituiscono mai l’essenza.

L’essenza delle cose è al di là della geometria, prima dei calcoli deve esistere una qualità che forma la materia: la materia ed il movimento non bastano per Platone o Aristotele.

Il pensiero antico non è comunque così semplice da permettersi una distinzione tra natura e arte molto rigida, dato che la natura stessa non è unica e si legge sotto tanti caratteri diversi, mentre l’arte non ha lo stesso valore se viene impiegata per scopi bellici o per scopi estetici. A differenza della semplicità da cui facciamo derivare il nostro mondo (un big bang, una creazione e poi una complessità per rivelazione o per meccanizzazione), il mondo antico parte dalle relazione e le proporzioni una materia formata, increata, o se generata si sviluppa con una struttura già in potenza ordinata secondo uno spazio assoluto e gerarchico. L’uomo antico e del medioevo non percepisce l’infinito ma solo una volta celeste che gli è familiare e nello stesso tempo lo sbalordisce ad ogni orientamento del polo.

Dalla complessità alla spiegazione del buon senso dei fenomeni celesti e della natura, un Platone o un Aristotele avrebbero visto il mondo diviso in due: un mondo celeste ed uno terrestre. Questa divisione è il frutto del primo atto che l’uomo compie di fronte alla maestà dei cieli comparandola con gli accadimenti mondani; accanto al perdurare di un ordine cosmico la corruzione della nostra esistenza rimane un fatto minore, contraddittorio, complesso, inevitabilmente passivo e regolato dal solo sorgere e tramontare del sole. Ma nonostante le comparazioni, l’uomo non può che proiettare il suo sistema biologico, il primo vero sistema che interfacci la realtà, il filtro dei sensi che ci fa identificare pensieri e cose, paragonare tutto il creato come una sfera al cui interno risiede un corpo ben organizzato e completo.

Di fronte a questa strutturazione dei dati percettivi l’uomo antico e medievale struttura anche la sua scienza e la sua tecnica, rimarcando una netta separazione tra la teoria e la pratica, tra la stasi e il movimento, tra il circolare ed il rettilineo: la completa tensione è verso la completezza, verso lo sviluppo potenziale, verso il nostro luogo naturale. Perciò c’è una astronomia come calcolo di circoli geometrici, ma soprattutto una astrologia a cui tutto il sistema viene relazionato; esiste una geometria dei corpi che non si risolve nella pura traslazione in un piano ma ha bisogno di virtù per muoversi naturalmente o spinte e trazioni per spostarsi violentemente; e infine un musica, divisa fra teoria e pratica nel mondo terreno, ma la quale è in sé insoddisfacente se non rimanda alle armonie che comandano i movimenti dei quattro elementi (fuoco, aria, acqua, terra).

Pitagora di Samo (VI a.C) e la sua scuola formularono una prima dottrina in cui la struttura del cielo produceva suoni, proporzioni numeriche in cui si fenomenizzava l’armonia del cosmo. Una simile visione armonica del cosmo influenzò il primo sistema di sfere omocentriche teorizzato nell’antichità da Eudosso. Un akousma pitagorico diceva: “Che cos’è l’oracolo di Delfi? La tetrade, cioè l’armonia in cui cantano le sirene”.

Platone riprende a pieno il fascino di questa cosmologia e le sue allegorie armoniche della creazione del cosmo sono una parte fondamentale dei libri 8 e 9 della Repubblica. Citiamo alcuni passi dal libro settimo:

“Ma puoi tu ricordare qualche altra disciplina che risponda a questo scopo?
- Non posso, rispose, almeno così su due piedi
- Secondo me, feci io, non c’è una specie sola di movimento ma ce ne sono parecchie. Un qualunque sapiente forse potrà elencarle tutte, ma quelle che sono evidenti anche a noi, sono due.
- Quali?
- Oltre a questa già detta, risposi,quella che le è correlativa.
- Quale?
- Può darsi, ripresi, che, come gli occhi sono conformati per l’astronomia, così le orecchie lo siano per il moto armonico e che si tratti di scienze per così dire sorelle, come affermano i Pitagorici e noi, Glaucone, conveniamo. O come dobbiamo fare?
- Così, rispose
- Ebbene, dissi io, poiché la questione è importante, cercheremo di sapere da loro che cosa dicono di questi argomenti e di altri eventuali altre a questi. Ma noi, in ogni circostanza, ci manterremo fedeli al nostro principio.
- Quale?
- Che, studiando queste scienze, mai i nostri allievi cerchino di imparare qualcosa d’imperfetto che non possa giungere sempre là dove tutto deve mettere capo, come poco fa dicevamo per l’astronomia. Non sai che oggi si tratta in un modo simile anche l’armonia? Commisurando tra loro gli accordi e i suoni che si odano, si finisce col fare, come gli astronomi, fatiche inutili.
- Sì, per gli dei!, rispose, ed è ben ridicolo: nominando certe frequenze acustiche e tenendo le orecchie come a cogliere la voce dei vicini, taluni affermano di percepire in mezzo ancora una nota e ciò definiscono il minimo intervallo con cui si deve misurare, altri invece sostengono che il suono è simile a quelli di prima. Però gli uni e gli altri antepongono le orecchie alla mente.
- Tu, feci io, intendi certo parlare di quelle brave persone che malmenano e torturano le corde, stirandole sui proli. Ma perché l’immagine no diventi prolissa ricordando i colpi che si danno con il plettro, e l’accusa che si rivolge alle corde di rifiutare o di amplificare il suono, la interrompono e dico di parlare non di queste persone, ma di coloro che, come or ora dicevamo, avremmo interrogato sull’armonia. Si comportano esattamente come gli astronomi: cercano i numeri che esprimono questi accordi che si sentono, ma non si elevano a porre dei problemi, cioè a vedere quali numeri diano luogo a consonanze e quali no, e perché gli uni sì e gli altri no.
- Tu parli, disse, di un compito degno di un dèmone.
- Utile comunque, replicai, per la ricerca del bello e del bene, ma inutile se perseguito con scopo diverso
- E’ naturale, disse

(“La repubblica”)

Platone va oltre i pitagorici, criticando la pratica stessa della deduzione, dalle consonanze dei suoni terrestri, delle armonie celesti: non sono le proporzioni del vaso riempito o diminuito d’acqua a rappresentare le proporzioni dell’universo, ma bensì una astrazione numerica difficilmente applicabile alla pratica a rappresentare la musica vera suonata dalle sfere. Questo relegare la pratica ad un compito secondario e affannoso è una ulteriore scissione tra il piano terreno e celeste in cui si suonano due diverse armonie, di cui la sola possibile di astrazione e trattazione teorica è quella dei celi. Per Platone la difficoltà delle cose non può essere sciolta tramite delle applicazioni indirette di una forza: la leva non spiega la natura ma inganna l’uomo.

In modo acuto il sociologo Pierre-Maxime Schuhl sintetizza così, in un suo articolo, questa diversità di scopi e di strumenti nell’antichità per la “ricerca del bello e del bene”:

“Purtroppo sono più che numerosi al giorno d’oggi coloro che, fra tutto quello che ci offre la civiltà tecnica e moderna , non sanno cogliere che le rapide incursioni o le cascate di immagini e suoni che ci offrono il cinema, la radio, la televisione, o altri traumi sensoriali di ogni genere, la cui stessa brutalità tende a diventare un bisogno. Una civiltà del frastuono disconosce il silenzio. Platone, dei mezzi audiovisivi tanto apprezzati oggi, diffidava: le cose veramente difficili, diceva nel Politico, non si possono far intendere con quei mezzi. (“Perché l’antichità classica non ha conosciuto il “macchinismo”?).

Il passaggio dai pitagorici a Platone è fondamentale per capire la cosmogonia del Timeo, altro grande manifesto della generazione del cosmo. La materia segue delle proporzioni che le vengono impartite, viene metaforicamente associata ad una linea che è divisa in due parti che in seguito saranno unite ai loro estremi per formare due circonferenze, un piano orizzontale ed una eclittica (piano sfalsato di 23 gradi rispetto all’orizzonte). I pitagorici costruirono i primi strumenti in scala, definirono le prime consonanze e proporzioni, costituirono una prima teoria della musica che fosse anche una meccanica celesta ma non riuscirono a completarla per mancanza di una vera e propria cosmologia ben strutturata. Ecco come Platone riordina la sua idea di cosmo, e in cui utilizza non solo teorie armoniche delle proporzioni ma anche l’idea di un mondo come manufatto, fatto con la mano a partire dall’idea di un demiurgo che dà forma alla materia precostituita ad esso.

Questo modo di organizzare i dati e le discipline trionfò nel tempo e rappresenta la forma mentale della percezione del cosmo dell’uomo antico e medievale. Con l’avvento del cristianesimo e della teologia razionale tutto questo patrimonio si fuse con il racconto biblico, i cieli empirei divennero l’habitacolum electorum e la dimora di Dio, le sfere dei pianeti, erano mosse da angeli, i quali a loro volta erano mossi da un amore, l’amore del padre, dell’uno, l’ “amor che movi” di Dante: dall’harmonia mundi all’armonia del creato.

Questo passaggio comportò comunque una ricostruzione delle fonti e del sapere antico che dalla caduta dell’Impero romano d’occidente (476) andò quasi integralmente persa nelle terre in cui si parlava latino. In effetti la lingua della cultura rimase sempre il greco, e qualsiasi romano di lingua latina avesse voluto intraprendere una attività intellettuale doveva impararlo. La scienza e la divulgazione scientifica fino ai primi anni del medioevo (periodo storico questo che va dalla deposizione di Romolo Augustolo nel 476 alla presa di Costantinopoli da parte turca nel 1453) fu per la maggior parte di lingua greca; o almeno fu l’unico modello di riferimento per i divulgatori scientifici latini che operarono a partire dal I secolo d.C: Seneca e Plinio il Vecchio.

La tradizione degli enciclopedisti è di fondamentale importanza per capire come il pensiero di Platone, Aristotele, Euclide, Archimede, Tolomeo, e dei divulgatori greci venne man mano perdendosi in collezioni di fatti, citazioni e traduzioni parziali che a volte distorcevano le dottrine originarie. Nonostante questo tra il quarto ed il settimo secolo d.C ci fu una grande produzione di opere in latino che avrebbero avuto un notevole successo sulla sistemazione del sapere nel medioevo e nelle nascenti prime università. Da questi enciclopedisti deriviamo i termini “trivium” e “quadrivium”, divisione delle sette arti liberali del periodo greco classico.

Tra il quinto ed il sesto secolo dopo Cristo ritroviamo anche i primi compendi del sapere musicale greco in lingua latina, in cui viene ribadita l’allegoria platonica di una musica celeste e di una musica terreste. Una delle opere che ha fatto scuola è il De institutione musicae di Severino Boezio (480-524). Boezio fu uno dei più importanti enciclopedisti assieme a Marziano Cappella, Cassiodoro, Venerabile Beda, Calcidio, etc. , scrisse sul quadrivium e fu forse lui ad introdurre questo termine per indicare le quattro scienze del numero.

Di seguito una bellissima immagine del 1300 che ci illustra l’eredità greca che l’uomo di lingua latina dal basso medioevo aveva assimilato:




A partire dall’alto scorgiamo sulla destra tre diversi concetti di musica: una musica “mundana”, una musica “humana” e una musica “instrumentalis”. La prima ha la sua massima espressione nel messaggio stesso dei cieli, nella compagine degli elementi e nella varietà dei tempi, il suono del corso veloce della macchina celeste che non udiamo poiché tanto è più grande il corso delle stelle tanto è più difficile comprendere la sua armonia poiché si allontana dalla compagine terrena. E’ il mondo ordinato gerarchicamente, in cui sia le sfere dei pianeti che i quattro elementi sono mossi da un primo mobile, ma in cui appunto questa sola condizione dinamica non basta per colmare la disparità qualitativa delle parti stabilite dalla periferia al centro. Boezio si pone allora una domanda antica quanto attuale, cui cercheranno di rispondere sia Campanella che Newton, riformulata in molte maniere, dalle simpatie ed antipatie alla determinazione fisica dell’unica forza che attrae le masse, la domanda del “come si tiene il mondo, in che modo le cose si tengono, qual è il senso del mondo?”: “Jam vero quatuor elementorum diversitates contrariasque potentias, nisi quaedam harmonica conjungeret, qui fieri posset, ut in unum corpus ac machinam convenirent?”. Il problema qui posto è come gli elementi, le qualità contrarie e le varietà dei tempi possano accordarsi naturalmente in un corpo unico. La diversità del cosmo è alla base della diversità dei tempi, del tempo delle stelle, unico, inalterato, ritornante in sé, e del tempo delle stagioni, instabile, variabile da una regione ad un’altra, più lento o più veloce: un frutto porta con sé la qualità del tempo in cui è colto, il luogo in cui è stato piantato il seme, la congiunzione dei segni zodiacali associati, perciò tolte tutte queste condizioni necessarie non esiste per l’antico un frutto globalizzato invariante per ogni trasformazione stagionale. Non possiamo allora partecipare al tempo eterno e al suo suono divino, ma possiamo accontentarci dei suoi frutti, come il quadrante solare ci trasmette il suo messaggio forzato su una meridiana.

Nelle figure di mezzo troviamo quattro uomini che personificano la musica “humana”, espressione dell’anima e della sua armonia, ma soprattutto simbolo della mediazione tra l’elemento corporeo e l’elemento spirituale. La musica è qui “vocale”, una “temperatio” come equilibro tra il corporeo e l’incorporeo, tra il grave ed il lieve, il pesante ed il leggero, quasi a darne una sintesi in una sola consonanza tra il razionale e l’irrazionale.

In ultimo, in basso, un personaggio che suona uno strumento e ne è circondato da molti altri, rappresentazione della musica “instrumentalis”, musica pratica che imita le altre due, che riproduce meccanicamente la teoria armonica astratta trasferendola non su un corpo umano, su una voce che faccia da collante tra i due mondi, ma su uno strumento costruito dall’uomo, un artefatto o manufatto completamente diverso dai cieli e dagli otto toni delle sirene platoniche: “Haec vero administratur, aut intentione, ut nervis, aut spiritu, ut tibiis, vel his quae ad aquam moventur, aut percussione quadam, ut in his quae in concava quaedam virga aerea feriuntur, atque inde diversi efficiuntur soni”.

Un musica strumentale è una pratica artigianale, anzi non apparterrebbe propriamente alla musica ma all’applicazione di certe tecniche costruttive. Il pensiero antico anche sul versante della pratica musicale riporta la sua divisione tra la teoria e la prassi, nell’impossibilità di far si che la teoria penetri un utensile e che il manufatto possa essere l’esempio della musica, delle proporzioni, delle scale, di un corso di armonia. L’ultimo capitolo del I libro di Boezio titola “Quid sit musicus” ed esprime in modo molto chiaro questa posizione affermando che “Manuum vero opera nulla sint, nisi ratione ducantur”, l’opera degli strumenti non vale molto se non è condotta dalla ragione, e ciò è quanto a dire: la musica strumentale è sì una disciplina ma prima di essere musicale deve sottostare ad un ordine che non gli appartiene naturalmente, poiché ciò che in verità chiamiamo musicale “non servitio operis, sed imperio speculationis assumit”.

La sospensione della musica e il rivolgersi ad una ispirazione dall’alto sono i modi migliori per trovare una consonanza in terra: la terra lasciata a sé produce movimenti scomposti e dissonanti. Questa visione del mondo verrà man mano sostituita con l’idea di un infinito mondo senza orientamento, da una geometria senza qualità, da un uso degli strumenti terreni come piccoli modelli del grande modello invisibile dell’universo infinito ed isomorfo: in un mondo vuoto e privo di direzione qualunque spazio è già luogo prima di essere limitato, anzi l’idea stessa di luogo perde i confini non avendone più bisogno.

La stessa cosa vale per i suoni, per la teoria, per l’armonia che si stacca pian piano dalla sua derivazione celeste per ritrarsi in una sistematica riduzione dei linguaggi nel singolo spartito, in una settaria scrittura, in regole per modulare dei gradi di una scala. Il concetto di unicità della musica e delle sue componenti ha ridotto la sfera del teorico, depurandolo del magico, e ampliato il pratico o almeno l’importanza dello strumento che rappresenta la teoria in modo esaustivo e conclusivo. Il comportamento del moderno ascoltare non contempla alcuna sfera irrazionale dal punto di vista scientifico ma lascia tutto ciò che è al di là, lassù, nell’etere, ad una elaborazione estetica privata ed insondabile.

L’arte per il moderno è una rivincita sull’antico, un superamento dell’ approssimazione in terra, una vittoria del mondano su qualcosa di invisibile che ormai da etere è divenuto vuoto: l’assenza di un compromesso in terra con l’ordine increato è il frutto dell’ascolto moderno. Nella sua riproduzione oltretutto riesce a superare l’eterno circolo del mondo sferico, dell’armonia planetaria, della sirena che gira attorno all’asse del cosmo, simbolo della necessità di una armonia delle sfere. L’armonia nel moderno è l’incontro tra Pitagora e Democrito, tra l’esperimento su corde, metalli e vasi da una parte, ed una teoria materialista e meccanicista dall’altra: il mistico Platone ha lasciato il posto al metafisico Cartesio.

La musica è materia difficile si diceva, non ottiene forma nell’ascolto se non quella che si voglia dare; è materia che intesa nella sua neutralità apre le porte a diffuse interpretazioni, diffusi mondi, uniti da alcune regole fondamentali, divenute digitali e quantizzate nella (ri)produzione contemporanea. Il software che taglia e cuce il prodotto dell’uomo non è più un manufatto ma uno strumento in cui risiede già la teoria: anzi la teoria si rivolge ad esso più che ad un singolo strumentista geniale (il genio fa quello che può).

Da Platone a Boezio non si fa il salto all’ascolto moderno se non si cambia la percezione del mondo: cosmo infinito, armonie infinite, terre disperse nel vuoto, note sparse tra le righe e gli spazi.

C’è bisogno di stare in guardia di fronte al nostro passato; la percezione del mondo non è affare da poco, ma riguarda anche quel particolare suono che state percependo, come lo sentite, come lo interpretate, se lo potete riprodurre o meglio registrare: se non si è coscienti di questo si finisce per intendere davvero il mondo senza un senso o uno scopo, mentre proprio per cambiare senso di marcia e di orientamento il nostro uomo moderno ha chiuso le spalle ad antiche visioni e rubate altre, ripresentandole alla luce di una nuova teologia del suono, una nuova metafisica che toglie al senso il suo movimento verso l’alto restituendolo completamente e problematicamente nelle mani dell’uomo che non intende più alcuna musica celestiale ma al contraria la cerca costantemente in se stesso.

Davide De Caprio

lunedì 15 ottobre 2007

L' unità del reale (parte prima)

Ho parlato spesso del suono, della musica, di come ci sia una fortissima analogia tra i fenomeni fisici osservabili nel mondo ed il funzionamento del corpo umano (articolo "come suona la voce umana").

Da qualche mese a questa parte la mia mente è rapita dall’aver riscontrato che la grande varietà di fenomeni fisici osservabili nel mondo e all’interno del nostro corpo, hanno una matrice comune, come case differenti costruite con lo stesso tipo di mattoni.

In articoli precedenti ho più volte detto che il suono si propaga in un mezzo (aria, acqua…) come un onda, in particolare come una variazione di pressione. Ma fenomeni che macroscopicamente si comportano come onde sono molteplici….

Viene perciò spontaneo chiedersi quali siano tra loro le eventuali analogie. In particolare voglio porre l’accento sulle radiazioni elettromagnetiche, di cui tanto si parla (tutti avranno sentito parlare di Raggi UV, infrarossi, raggi γ ).

Senza andare troppo lontano, anche la luce del nostro sole è una radiazione elettromagnetica…Anche se [luce macroscopica = onda] è un concetto assodato della fisica classica, sin dal ‘800, cercherò di spiegarlo in modo estremamente sintetico.

Come il suono è una variazione di pressione, una radiazione elettromagnetica è una variazione di campo elettromagnetico che si propaga nello spazio, o meglio di campo elettrico e campo magnetico che si propagano in fase (viaggiano a braccetto).

Perché esistono diverse radiazioni EM ? La risposta è la stessa che si darebbe alla domanda: perché esistono suoni diversi?

Tutti risponderemmo: perché ogni corpo può vibrare a diverse frequenze. Nel caso delle onde EM la questione è analoga.Esistono diversi tipi di onde EM perché un campo elettrico (come un campo magnetico) può variare nel tempo con diversa frequenza.

E’ per questo che si parla di raggi X raggi γ…. non è altro che una classificazione dei vari tipi di radiazioni in base alla frequenza, ed alle diverse manifestazioni della loro interazione con la materia.

Onde radio - Microonde - Infrarosso - Visibile - UV - Raggi X - Raggi γ[105 (1014 1015) 1025] Hz

Se si facesse uno stesso schema per le note musicali si noterebbe una sostanziale analogia. E’ come dire: ogni colore, manifestazione della luce emessa dagli oggetti che vediamo, è come se fosse una determinata nota emessa da un corpo vibrante che ascoltiamo. Spero che una tale consapevolezza lasci sbigottiti voi almeno quanto me. Chiaramente tutto ciò è ampliamente dimostrato a livello matematico, dato che suddetti fenomeni (ondosi) sono tutti regolati (a livello macroscopico) dalla medesima equazione di base detta proprio equazione delle onde, nel merito della quale non entrerò.

Se pensiamo quanto vista ed udito siano i pilastri della nostra esperienza sensibile, mi lascia esterrefatto la possibilità che la natura si sia organizzata, in modo tale da comunicare con noi significati diversi attraverso dei linguaggi che presentano schemi non simili, ma del tutto identici.