Scoprire ciò che già è stato
Kryptonite, Godzilla dei funghi e l’organo che risuona nell’atmosfera solare.
Perché mettere assieme immagini così disparate tra loro, magari colte alla sprovvista sul web, magari senza un perché e senza un titolo riassuntivo per sintetizzarle.
Credo che la risposta stia nella compossibilità degli elementi, i quali nel corso del tempo si ripresentano, cambiando certamente il loro significato e attingendone uno nuovo soltanto per rinascere in una rinnovata linfa di attualità.
Per meglio comprendere la compossibilità degli elementi sempre in gioco, bisogna far riferimento alla metafora del “frullatore”, un macchinario grazie al quale, attraverso un semplice tasto, si riesce a creare quel movimento di ingredienti che non ha un suo orientamento preciso, ma che si gioca tutto sul contatto e la posizione di ogni pezzo di materia fino alla fine del nostro intruglio.
Bene, una volta presa questa metafora si deve applicare il movimento discontinuo al corso degli eventi della storia, ad un itinerario che non tende mai ad un limite.
Una delle tappe fondamentali di un tale percorso sta nel dare il nome agli eventi, alla materia e alle idee. Tale processo diviene la fonte sia di una grande conoscenza, sia del suo avanzamento: ed è proprio nel suo sviluppo che possiamo rintracciare il concetto di compossibilità.
Le novità non sono mai del tutto originali, proprio perché gli elementi di cui sono intrise non riescono mai ignoti per nessuno. E’ questa interazione tra il noto e l’ignoto che spinge a volte a considerare la storia come uno sviluppo non di un fatto, ma all’interno di tanti fatti, ognuno preso nella sua inattualità, nel suo essere presente sempre e invisibile.
Da ciò può nascere sia un evento curioso, sia un avanzamento del noto, sia infine una applicazione del noto a ciò che era invisibile.
Questo è l’ordine che possiamo trovare nell’interpretazione delle tre notizie che vi propongo e che ho legate assieme sotto la frase “Scoprire ciò che già è stato”.
Potrà apparire una consuetudine ma il ribadire che nella scienza noi scopriamo sempre qualcosa che non è ignoto ma che si chiarifica nel tempo non ci porta solo a compiere grandi salti nel tempo, ma ci fa anche comprendere ciò che sempre era davanti agli occhi, applicando un’ idea fantasiosa al fenomeno, rendendo evidente la grande collaborazione che c’è tra l’oggetto e il soggetto, tra chi deve rappresentare qualcosa e chi deve farcela sentire attraverso un organo dedicato.
Nell’interpretazione degli eventi, non possiamo mai essere sicuri di comprendere un fenomeno se non lo si verifica con molti eventi, non solo per una prova della sua probabilità, ma per un atto di dovuto collegamento e comprensione tra passato e presente.
L’evoluzione in senso proprio non avviene nel segno del caso, non è l’insieme di incidenti, ma un insieme di risoluzioni e applicazioni con scopi, fini e compossibilità reciproche.
Il web è un esempio di come ci si possa evolvere nell’informazione producendo molte falsità, doppioni di notizie, indicizzazione che aumentano i collegamenti, siti che non si trovano ma hanno un loro numero-indirizzo. “Scoprire ciò che è stato” è un titolo che può andare bene per ogni notizia come per ogni ricerca, e spesso di questa banale interpretazione se ne vuole fare a meno nella speranza di abbracciare la piena autonomia della ricercare in vista dell’ ignoto.
Il paradosso antico di Platone secondo cui ciò che è noto non è suscettibile di ricerca e ciò che ignoto diventerebbe noto se questa ricerca stesse sulle sue tracce, cade sotto la potenza del nostro nominare le cose, evolverle nel tempo, nasconderle per secoli, ritrovarle per supposto sviluppo di capacità tecniche e rinominarle infine per quello che ci si aspetta che rappresentino.
E’ chiaro che il paradosso dell’ impossibilità della conoscenza sulla terra cede il posto a quello della compossibilità degli elementi che ne fondano l’esistenza: entrambi alimentano un circolo vizioso ma nello stesso tempo ci permettono sempre di presupporre che effettivamente stiamo scoprendo il nuovo o che almeno la nostra specie possieda tutte le possibilità per dirlo come tale una volta analizzato.
Scoprire la formula in natura che era quasi già stata in un film di Superman:
“Towards the end of my research I searched the web using the mineral's chemical formula - sodium lithium boron silicate hydroxide - and was amazed to discover that same scientific name, written on a case of rock containing kryptonite stolen by Lex Luther from a museum in the film Superman Returns” BBC news
Scoprire un fungo enorme che era stato sempre un fossile di una pianta: il godzilla della fine del devoniano:
“It's hard to imagine these things surviving in the modern world"
MSNBC news
Scoprire un campo magnetico che si comporta come uno strumento musicale:
“These loops can be up to 100 million kilometres long and guide waves and oscillations in a similar way to a pipe organ” ScienceDaily
Davide De Caprio
Credo che la risposta stia nella compossibilità degli elementi, i quali nel corso del tempo si ripresentano, cambiando certamente il loro significato e attingendone uno nuovo soltanto per rinascere in una rinnovata linfa di attualità.
Per meglio comprendere la compossibilità degli elementi sempre in gioco, bisogna far riferimento alla metafora del “frullatore”, un macchinario grazie al quale, attraverso un semplice tasto, si riesce a creare quel movimento di ingredienti che non ha un suo orientamento preciso, ma che si gioca tutto sul contatto e la posizione di ogni pezzo di materia fino alla fine del nostro intruglio.
Bene, una volta presa questa metafora si deve applicare il movimento discontinuo al corso degli eventi della storia, ad un itinerario che non tende mai ad un limite.
Una delle tappe fondamentali di un tale percorso sta nel dare il nome agli eventi, alla materia e alle idee. Tale processo diviene la fonte sia di una grande conoscenza, sia del suo avanzamento: ed è proprio nel suo sviluppo che possiamo rintracciare il concetto di compossibilità.
Le novità non sono mai del tutto originali, proprio perché gli elementi di cui sono intrise non riescono mai ignoti per nessuno. E’ questa interazione tra il noto e l’ignoto che spinge a volte a considerare la storia come uno sviluppo non di un fatto, ma all’interno di tanti fatti, ognuno preso nella sua inattualità, nel suo essere presente sempre e invisibile.
Da ciò può nascere sia un evento curioso, sia un avanzamento del noto, sia infine una applicazione del noto a ciò che era invisibile.
Questo è l’ordine che possiamo trovare nell’interpretazione delle tre notizie che vi propongo e che ho legate assieme sotto la frase “Scoprire ciò che già è stato”.
Potrà apparire una consuetudine ma il ribadire che nella scienza noi scopriamo sempre qualcosa che non è ignoto ma che si chiarifica nel tempo non ci porta solo a compiere grandi salti nel tempo, ma ci fa anche comprendere ciò che sempre era davanti agli occhi, applicando un’ idea fantasiosa al fenomeno, rendendo evidente la grande collaborazione che c’è tra l’oggetto e il soggetto, tra chi deve rappresentare qualcosa e chi deve farcela sentire attraverso un organo dedicato.
Nell’interpretazione degli eventi, non possiamo mai essere sicuri di comprendere un fenomeno se non lo si verifica con molti eventi, non solo per una prova della sua probabilità, ma per un atto di dovuto collegamento e comprensione tra passato e presente.
L’evoluzione in senso proprio non avviene nel segno del caso, non è l’insieme di incidenti, ma un insieme di risoluzioni e applicazioni con scopi, fini e compossibilità reciproche.
Il web è un esempio di come ci si possa evolvere nell’informazione producendo molte falsità, doppioni di notizie, indicizzazione che aumentano i collegamenti, siti che non si trovano ma hanno un loro numero-indirizzo. “Scoprire ciò che è stato” è un titolo che può andare bene per ogni notizia come per ogni ricerca, e spesso di questa banale interpretazione se ne vuole fare a meno nella speranza di abbracciare la piena autonomia della ricercare in vista dell’ ignoto.
Il paradosso antico di Platone secondo cui ciò che è noto non è suscettibile di ricerca e ciò che ignoto diventerebbe noto se questa ricerca stesse sulle sue tracce, cade sotto la potenza del nostro nominare le cose, evolverle nel tempo, nasconderle per secoli, ritrovarle per supposto sviluppo di capacità tecniche e rinominarle infine per quello che ci si aspetta che rappresentino.
E’ chiaro che il paradosso dell’ impossibilità della conoscenza sulla terra cede il posto a quello della compossibilità degli elementi che ne fondano l’esistenza: entrambi alimentano un circolo vizioso ma nello stesso tempo ci permettono sempre di presupporre che effettivamente stiamo scoprendo il nuovo o che almeno la nostra specie possieda tutte le possibilità per dirlo come tale una volta analizzato.
Scoprire la formula in natura che era quasi già stata in un film di Superman:
“Towards the end of my research I searched the web using the mineral's chemical formula - sodium lithium boron silicate hydroxide - and was amazed to discover that same scientific name, written on a case of rock containing kryptonite stolen by Lex Luther from a museum in the film Superman Returns” BBC news
Scoprire un fungo enorme che era stato sempre un fossile di una pianta: il godzilla della fine del devoniano:
“It's hard to imagine these things surviving in the modern world"
MSNBC news
Scoprire un campo magnetico che si comporta come uno strumento musicale:
“These loops can be up to 100 million kilometres long and guide waves and oscillations in a similar way to a pipe organ” ScienceDaily
Davide De Caprio
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