Jamie T
Pacemaker Records/Virgin
La scena musicale londinese di questi ultimi anni è caratterizzata da un fermento senza pari nel mondo.
Da una parte l'esplosione dell'indie-rock made in the UK che ha coinvolto migliaia di ragazzi (a Londra nel 2006 sono state vendute il doppio delle chitarre elettriche vendute nel 2000), dall'altra una scena hip-hop che ha raggiunto la piena maturità svincolandosi dai canoni dettati dai cugini americani.
E poi il reggae che non è mai tramontato nei quartieri neri, le nuove derive dub, la minimal-house, la techno, l'elettronica che imperversa nei party della metropoli inglese.
Il ventiduenne Jamie T è figlio di tutto questo, la sua musica è un folle frullato di chitarre indie-rock, bassi ipercompressati, ritmi in levare, metriche ragga-rap, drum machine da due soldi e tastiere giocattolo, il tutto condito da un do-it-yourself sfrenato e da una evidente propensione all'alcolismo.
Il tutto senza mai perdere di vista la forma-canzone, con ritornelli sbilenchi che si appiccicano all'orecchio e non si staccano più.
Stonato, superficiale, confusionario, suonato e mixato male, in una parola geniale.
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